Giuliana Sgrena: "No alla propaganda di guerra, siate sempre liberi"
La famosa inviata di guerra, rapita 20 anni fa in Iraq, ospite in paese ha tracciato un quadro della situazione dell'informazione italiana e internazionale. La nostra intervista
Giuliana Sgrena, la nota giornalista inviata di guerra 20 anni fa rapita in Iraq, ospite a Cerro Maggiore fa il punto sulla situazione del giornalismo italiano e internazionale.
Giuliana Sgrena, 20 anni fa il rapimento in Iraq
Vent'anni fa il suo sequestro in Iraq, terra nella quale era al lavoro come inviata di guerra, lavoro che ha svolto in prima linea per 30 anni; a farle da scudo con il suo corpo, morendo, l'agente dei servizi segreti Nicola Calipari, colpito e ucciso dai proiettili degli americani, vicenda diventata poi anche un film, "Il Nibbio", uscito in questi mesi.
Lei è Giuliana Sgrena, famosa giornalista italiana. La sera di martedì 24 giugno 2025 è stata ospite al Chiostro solidale, per presentare il suo nuovo libro "Me la sono andata a cercare" per una serata a cura dell’Anpi Cerro e Chiostro solidale.
Un libro che raccoglie i suoi 30 anni nei maggiori conflitti del mondo: dall’Algeria all’Iraq, dalla Somalia all’Afghanistan, dalla Siria all’Eritrea. Lei ad aver raccontato come i famosi interventi di "pacekeeping" dei paesi occidentali si sono "risolti poi in fallimenti e fughe precipitose", lei ad esporsi in prima persona "per svelare le grandi falsificazioni dei governi e dei giornalisti embedded (nota: quelli al seguito degli eserciti, dai quali ricevono "veline" e che hanno quindi l'esercito come unica fonte di informazione)».
Un libro che ricorda anche colleghi quali Ilaria Alpi e Grazia Cutuli.
Abbiamo parlato a con lei del mondo dell’informazione attuale.
L'intervista
- "Me la sono andata a cercare". Un titolo forte...
"In questi 20 anni dal mio rapimento sono stata un po’ perseguitata da accuse. Da una parte di essere stata la causa della morte di Calipari, dall’altra di essermela andata a cercare. In queste due decadi ho dovuto fare il conto della mia vita dopo il rapimento: per le accuse sulla morte di Calipari, non sono stata io a sparargli ma sicuramente ho dei sensi di colpa molto forti e non ho mai potuto essere felice di essere libera, per l’essermela andata a cercare prima mi difendevo dicendo che era il mio lavoro ma ripercorrendo tutti i viaggi che ho fatto nei luoghi di guerra mi sono resa conto che più volte ho rischiato, ma ho rischiato semplicemente per fare il mio lavoro. E allora ho deciso di rivendicare il fatto che io me la sono andata a cercare. E forse in Iraq meno che negli altri posti" - Di guerre ne ha viste molte. La narrazione non sempre è fedele alla realtà. In questi giorni l’attacco all’Iran..
"Nessun paese dovrebbe avere la bomba atomica. Israele, che possiede armi atomiche, può decidere se l’Iran le può avere o no? Bombe atomiche le ha il Pakistan, l’India e altri Paesi, dovremmo cercare una soluzione per eliminare tutte le armi nucleari e non per distinguere un paese sì e un paese no".
- Qual è il livello dell’informazione attuale? Sappiamo il suo forte no ai giornalisti embedded, ossia quelli che sono sui luoghi di guerra ma sono al seguito degli eserciti, con tutto quello che viene a mancare in termini di obiettività...
"Gli embedded sono quelli che subiscono le censure degli eserciti. In Ucraina sono stati mandati e, inevitabilmente, sono dalla parte dell’Ucraina. Il problema è che in giornalista non si deve distinguere quello che è propaganda di guerra e quella che non lo è. In ogni conflitto c’è la propaganda di guerra, in questo caso vi è una propaganda di guerra che viene trasmessa attraverso i giornalisti perchè si sta dalla parte dell’Ucraina. E se tu cerchi di approfondire, di andare un po’ oltre la parvenza, non hai più il permesso di stare in Ucraina. E non parliamo di Gaza: qui non ha potuto entrare nessun giornalista occidentale nè di altri paesi e sono solo i palestinesi a raccontarci quello che succede, pagando un prezzo altissimo perchè Israele non distingue tra giornalisti e non giornalisti, e già di giornalisti ne sono stati uccisi 230, un prezzo mai pagato dai giornalisti per seguire un conflitto. E addirittura adesso qualcuno mette in discussione le immagini che arrivano da Gaza perchè sono fatte solo da palestinesi: questo, secondo me, è la morte dell’informazione".