"Se siamo liberi lo dobbiamo anche a voi": il "grazie" ai deportati della Franco Tosi
Oggi, martedì 14 gennaio, le porte della storica fabbrica di Legnano si sono riaperte per ricordare una delle pagine più drammatiche della Resistenza in città.
"Grazie per il vostro dono: faremo di tutto per onorarlo, ricordarlo, farlo vivere". Con queste parole il sindaco di Legnano Lorenzo Radice si è rivolto idealmente ai dipendenti della Franco Tosi che nel gennaio 1944 furono deportati nel lager di Mauthausen e nei sottocampi.
Commemorati i dipendenti della Franco Tosi deportati a Mauthausen nel 1944
Pericle Cima, Paolo Cattaneo, Alberto Giuliani, Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Santambrogio, Ernesto Venegoni, Antonio Vitali. Il più giovane, Santambrogio, aveva soltanto 31 anni, il più anziano, Orsini, 62. Morirono tutti, di fame e per le conseguenze di malattie e lavoro forzato, tranne Colombo, che riuscì a fare ritorno ma si tolse la vita un paio d’anni dopo la fine della guerra. Nella mattinata di oggi, martedì 14 gennaio, i loro nomi sono risuonati ancora una volta nella fabbrica di piazza del Monumento. A pronunciarli sono stati i colleghi di oggi, il primo cittadino e i ragazzi di alcune scuole legnanesi (gli istituti superiori Bernocchi e Galilei e la scuola media Dante Alighieri).
Il discorso del sindaco Radice, "con lo sguardo non al passato ma al futuro"
"Questa commemorazione, per Legnano, è sempre un momento particolare un'occasione - certo - per fare memoria, ma anche per parlare di presente e futuro" ha esordito Radice, che ha spiegato come con il suo intervento intendesse volgere lo sguardo "al presente e al futuro, più che al passato", chiedendosi "cosa sia oggi e come si manifesti ai nostri giorni l'eredità fascista" e "cosa tocca a noi oggi fare per far vivere la Costituzione ogni giorno".
Così ha proseguito il sindaco:
"Tante sono le analogie fra gli anni 20 del Novecento e i nostri anni 20. Non voglio sottovalutarle, ma vorrei oggi con voi concentrare l’attenzione su un altro fenomeno, di cui forse si parla meno, benché anche esso molto simile a quanto accadeva cento anni fa. Lo sintetizzo così: l’indifferenza sta alimentando la potenza di chi controlla le infrastrutture dell’informazione e del consenso".
Qual è la nuova resistenza a cui siamo chiamati? Secondo Radice quella di essere cittadini liberi sottraendoci allo strapotere dei social.
"I social sono lo strumento ideale per veicolare e imporre interessi giganteschi: non fatti, non notizie, ma interessi, specie se si hanno le chiavi per governare i suoi meccanismi, per spacciare fake news fabbricate ad arte come verità, per demonizzare gli avversari, ma anche per creare indifferenza, disimpegno, disinteresse verso i problemi reali, magari verso gli ultimi, che non sono persone che hanno dei problemi, ma che spesso sono loro stesse trasformate in problemi, addirittura nel nostro unico problema. A questo stato di cose, al pericolo di questa deriva noi dobbiamo dire no. Quel no che pronunciarono gli operai della Tosi di fronte alla prepotenza di chi voleva richiamarli al lavoro e che costò loro la deportazione".
L'appello di Radice è rivolto soprattutto ai più giovani:
"Lo dico soprattutto ai giovani, i più esposti al richiamo dei social. Sappiate dire no! Sappiate dubitare, verificare e discutere davvero. Ricordiamoci che a chi manovra i social servono soltanto due tipi di persone: follower- consumatori e follower-sudditi. Ma noi non dobbiamo essere né gli uni, né gli altri: dobbiamo e vogliamo essere cittadini liberi! E si è liberi soltanto se si è menti libere, se si pensa con la propria testa, se si sanno ascoltare gli altri e, dopo averli ascoltati, se si sceglie in modo consapevole.
Per questo sono convinto che il miglior antidoto al rischio di finire triturati da queste nuove macchine del consenso sia vivere la dimensione reale, la dimensione della propria città, sia costruire insieme con gli altri una città intesa come polis, come spazio delle relazioni, come luogo della vita e della cosa pubblica. La città delle relazioni quindi come luogo di tutti, e di cui tutti -e sottolineo tutti- dobbiamo prenderci cura. Perché è proprio la cura la peggior nemica di quell’indifferenza e di quel “me ne frego” che era il motto dei vecchi fascisti e che continua a essere, nei fatti, l’atteggiamento che accomuna le nuove tecnocrazie alle destre estreme come ai populismi. Essere cittadini attivi -e la nostra città, per fortuna, ci offre tante possibilità per esserlo- nelle associazioni, nelle contrade, nelle parrocchie, nei centri civici, nelle biblioteche, nelle consulte, nei sindacati e nei partiti - è un modo per dire: I care, mi importa, non sono un numero nei like o nei commenti a un post. Sono una persona che vive e si realizza con gli altri in una comunità viva, non in una bolla governata dagli algoritmi. Sono una persona che partecipa e partecipare significa essere liberi. E se sono libero, se siamo liberi dobbiamo dire il nostro grazie anche a loro: a Pericle, ad Alberto, a Carlo, a Francesco, ad Angelo, a Ernesto e ad Antonio".
Le parole del presidente nazionale dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo
Ospite d’onore della manifestazione che ogni anno ricorda il sacrificio di quegli uomini, andata in scena anche quest'anno, come già nel 2024, in sala montaggio, è stato Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale dell'Anpi.
"Questo capannone, queste macchine rappresentano un pezzo della storia del nostro Paese. La Franco Tosi è stata un tempio della resistenza operaia negli anni della guerra e poi della liberazione, pagando un altissimo prezzo che oggi stiamo doverosamente riportando alla memoria. Provo brevemente a riassumere i fatti, perché bisogna tornare sui fatti. A quel tempo - alla fine del 43 - c'erano alla Tosi poco meno di 6mila lavoratori, esasperati per la guerra, per la mancanza di cibo, per la borsa nera a prezzi insostenibili, per la mancanza di combustibile, davanti al gelido inverno. Nascono nelle fabbriche, in particolare quelle di Legnano, i comitati di agitazione: quello della Tosi è coordinato dai fratelli Venegoni ed è guidato da Angelo Santambrogio. Gli scioperi iniziano fin dalla metà di dicembre, scrive un operaio partigiano, Franco Landini. Le richieste sono relativamente modeste: sono salariali e di parificazione del trattamento tra operai e impiegati in mensa. Ma Landini aggiunge che gli operai avevano uno scopo prevalentemente politico, cioè saggiare la possibilità di una rivolta di massa contro l'occupazione tedesca nella fabbrica. Sembrava in qui giorni di gennaio che la direzione avrebbe raccolto tali richieste, viceversa non se ne parlava proprio, scoppiava la furia operaia e stava per farne le spese il direttore del personale che viene letteralmente salvato, come testimonia un operaio, il signor Candido, nel volume 'Quelli della Tosi', da quelli che definisce i caporioni comunisti; ma arrivano le SS e tutto precipita. Dopo molte violenze sono presi prigionieri tanti dipendenti, poi rilasciati tranne otto: destinazione Mauthausen. I nomi di queste persone sono stati già citati, ma oggi è il loro giorno ed è giusto che li citi anch'io, perché a loro è dedicato questo ricordo e questo esercizio virtuoso di memoria per il futuro. Paolo Cattaneo, tornitore (commissione interna); Antonio Vitali, tubista (commissione interna); Ernesto Luigi Venegoni, meccanico di precisione (commissione interna); Angelo Santambrogio, fresatore (commissione interna e comandante militare del gruppo clandestino in fabbrica); Pericle Cima, ingegnere meccanico; Alberto Giuliani, perito tecnico; Francesco Orsini, tornitore: Carlo Grassi, tubista. Quasi tutti operai, ma c'è anche l'ingegnere Pericle Clima. Muore il 5 aprile 1945 durante la Marcia della morte da Wien-Floridsdorf a Mauthausen. In una lettera di Giuseppe Valota, allora presidente dell'Aned di Sesto, a Luigi Botta, allora presidente dell'Anpi di Legnano, del 3 luglio 2008, leggo tra l'altro: la marcia è partita il primo aprile del 45 ed è giunta a Mauthausen l'8 aprile, ma l'ingegner Cima e mio padre non ce l'hanno fatta. A distanza di cento metri uno dall'altro si sono lasciati andare, perché non ce la facevano più a marciare. A quelli che non riuscivano più a proseguire il nazista toglieva tutte le matricole cucite sulle divise, toglieva di forza il braccialetto, perché anche lì era incisa la matricola, e poi gli sparava un colpo alla nuca. Il cadavere era diventato quindi non più identificabile. Di questo stiamo parlando. Tutti scomparvero nell'inferno del lager, tranne Paolo".
Pagliarulo ha poi acceso i riflettori, come già fece lo scorso anno Pier Luigi Bersani, già segretario del Partito democratico, ex ministro e presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Piacenza, sul ruolo dei lavoratori nella Resistenza al nazifascismo e nella costruzione di un’Italia nuova.
"Oggi ricordiamo questi eroi per caso, uomini che avevano fatto la scelta. Vedete, l'origine di questa parola, 'scelta', indica un separare, e prendere una parte, quella migliore, cioè assumere ciò che è meglio. Ecco il meglio allora era questo: stare dalla parte giusta, quella della libertà, del valore sociale del lavoro, dell'opposizione alla guerra. Colpisce che tanti degli otto deportati fossero della Commissione interna, eletta nella finestra temporale che si era aperta il 25 luglio 1943 con la caduta del fascismo e poi mal tollerata dalla Repubblica sociale e ancora meno da tedeschi. Certo, la Franco Tosi non era sola: nel marzo 1944 avviene nell'Italia centrosettentrionale la più grande ondata di scioperi, che non ha paragoni in Europa, contro il nazifascismo. Con quegli scioperi saltavano definitivamente la struttura e la logica dello stato corporativo fascista, che era espressamente richiamata nel Manifesto di Verona, del novembre 1943, che era una specie di Costituzione della Repubblica di Salò. Gli scioperi del 1944 sono una specie di priva generale ma è ancora troppo presto: l'avanzata degli alleati è più lenta delle previsioni. Sono gli scioperi insurrezionali del 1945 a dichiarare la fine del fascismo, dell'occupazione tedesca e della guerra. Ma prima ancora del 25 luglio 1943 (data della caduta del Fascismo, ndr) le fabbriche si muovono per rivendicazioni sindacali e per la fine della guerra: pane e pace diventano le parole chiave degli scioperi del movimento dei lavoratori, in particolare metalmeccanici, ma poi di tutte le categorie, tipografi, ferrovieri, tramvieri. Per questo mi sembra giusto sottolineare lo straordinario coraggio delle lavoratrici e dei lavoratori degli scioperi del 1944, perché erano ben consapevoli del pericolo di una spietata repressione che oltre a costare il rischio della perdita del posto di lavoro, dell'arresto e della deportazione poteva mettere in pericolo la propria vita. Metto l'accento su questa questione perché non si tratta del mito guerresco individualista dell'eroe, ma si tratta della scelta consapevole di decine e decine di migliaia di donne e di uomini, compresi i poveri morti di Mauthausen, una scelta della classe, cioè del rapporto tra coscienza individuale e coscienza collettiva in fabbrica in quei drammatici mesi. Peraltro il fascismo si era manifestato come nemico dei lavoratori in ogni forma, ricordo le parole di Pertini del 1970 quando affermò che su 5.619 processi del Tribunale speciale 4.644 furono contro operai e contadini. Gli scioperi del 1943 e 1944 rappresentarono l'ascesa in campo della classe operaia nel complesso fenomeno della Resistenza, perché è bene sempre ricordare che la Resistenza non si esaurì nell'attività propriamente partigiana, cioè nella lotta armata di decine di migliaia di volontari in montagna in città nelle campagne, questa era l'avanguardia, ma si manifestò nella resistenza sociale degli operai, nel ruolo fondamentale delle donne in ogni manifestazione resistenziale, nel contrasto delle forze armate lealiste italiane contro i tedeschi a cominciare da Cefalonia e Corfù, dove furono massacrati in migliaia e migliaia, nella resistenza civile delle Repubbliche partigiane, nella costruzione del nuovo esercito italiano che prese spunto dalle macerie dell'esercito lasciato alla sbando dalla fuga del re, nel sacrificio di tanti Carabinieri, di tanti agenti di Polizia, Guardia di finanza che operarono al fianco della Resistenza. Ma la grande novità fu rappresentata dal fatto che la Resistenza si manifestò in forme unitarie, capovolgendo la situazione del 1922 il tempo della Marcia su Roma quando all'appuntamento della presa del potere del Fascismo l'opposizione si presentò divisa e in parte complice dei fascisti. I lavoratori e le lavoratrici delle fabbriche si posero obiettivamente come unico soggetto sociale organizzato che si candidava a essere protagonista per il dopo Liberazione".
Il presidente nazionale dell'Anpi ha poi voluto porre l'accento sull'impianto lavorista della Costituzione ("Se pensate all'articolo 1 che sancisce il lavoro come fondamento della Repubblica") e su due parole chiave che appaiono nella nostra Carta fondamentale, abbinate alle uniche due citazioni del nome del la nostra Patria nella Costituzione ("L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro" e all'articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra").
"Questi sono gli unici momenti in cui nella Costituzione è presente la parola Italia e così si afferma in modo inconfutabile che i cardini su cui si regge l'intera impalcatura repubblicana, il nostro Paese, sono la pace e il lavoro che sono le due parole chiave di un secolo di storia del movimento dei lavoratori italiani e anche degli scioperi del 1943 e 1944. Rispetto a quel tempo di ferro e di fuoco, la Resistenza, e rispetto agli anni successivi, quelli della Costituente e della Costituzione, viviamo in un altro tempo, direi irriconoscibile. Eppure quei due pilastri costituzionali, lavoro e pace, quei due pilastri delle lotte di fabbrica del 1943-1945, pace e pane, non sono mai stati così attuali. La memoria di quel tempo e il sacrificio di quegli uomini ci sono di stimolo e di lezione. Non esiste nessun giardino fiorito e tantomeno nessun paradiso in terra: pace e pane, pace e lavoro devono essere ancora una volta oggi una conquista che richiede fatica, impegno civile, visione del futuro, e si possono conquistare solo con una rinnovata partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica, con la più ampia unità popolare e, aggiungo, con il risveglio delle nuove generazioni. Ottant'anni dopo la Liberazione che costò tante vittime, vorrei ricordare i deportati della Franco Tosi a Mauthausen pensando al passato, certo, ma immaginando il futuro, per un'Italia, un'Europa e un mondo liberi da tre mostri: il mostro del nazifascismo, il mostro della fame, il nostro della guerra. Viva i deportati della Franco Tosi, viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva il nostro bellissimo Paese, l'Italia!"".
Il corteo per le vie della città fino al Cimitero Monumentale
La cerimonia si è chiusa con la posa delle corone di alloro al monumento ai deportati che sorge all'ingresso della fabbrica, sulle note del Silenzio. A seguire il corteo per le vie cittadine per rendere omaggio al monumento ai caduti della guerra di Liberazione e poi al Campo della gloria al Cimitero Monumentale, dove il presidente dell'Anpi provinciale Primo Minelli ha tenuto il discorso conclusivo.
"Se siamo liberi lo dobbiamo anche a voi": il "grazie" ai deportati della Franco Tosi
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