Gianni Fachin nel ricordo del figlio: l'altruismo e l'amore per il calcio
"Mio padre ha lasciato un buon ricordo in tutti quelli che lo hanno conosciuto per la sua generosità fuori misura. L’affetto che stiamo ricevendo è tantissimo"
Gianni Fachin è venuto a mancare qualche giorno fa, il 27 novembre scorso, portato via dal maledetto Covid. A pochi giorni dal grande dolore e dal funerale, il figlio Diego Fachin, racconta che meraviglioso mondo fosse quello del padre. Molto ruotava e si mescolava alla sua grande passione: il calcio amatoriale abbiatense. Ma nel suo rettangolo verde non mancavano mai risate, sentimenti, beneficenza ed altruismo.
Gianni Fachin nel ricordo del figlio: l'altruismo e l'amore per il calcio
Ci sono quegli uomini impossibili da descrivere se non attraverso la loro passione. La loro vita si annoda in modo indissolubile a quel che amano. Di questo, Gianni Fachin è la rappresentazione per eccellenza. Raccontarlo al di là del calcio è impossibile. Una vita dedicata a questo sport, ai giovani ed a quelli che si ostinavano a voler rimanere giovani, a correr dietro ad un pallone, nonostante gli acciacchi, nonostante l’età. Gianni nasce il 30 dicembre del 1950 a Socchieve, in provincia di Udine. Si trasferisce con la famiglia a 13 anni ad Abbiategrasso, perché il padre trova lavoro alla Siltal. Nell’85 si mette in proprio e apre un’azienda per la lavorazione dell’acciaio inox, la Fasco, che nel 2010 viene poi rilevata dal figlio, Diego e diventa l’attuale Inox Idea.
Le parole di Diego
Come si diceva, il racconto è abbarbicato sulla grande passione di Gianni: il calcio.
"Ha sempre dato anima e corpo per il mondo del calcio della zona, ogni anno si faceva in quattro per tornei di beneficenza e per manifestazioni. Sempre sorridente e con la battuta pronta, ma anche molto sanguigno. Poteva capitare di avere discussioni anche accese con lui in campo, ma era certo che a fine partita ti sedevi al suo tavolo a bere un bicchiere (pagato da lui)!".
La vita nel pallone
Mediano da 3 polmoni e 100 chilometri a partita ma con i piedi buoni. Nei primi anni 90 smette di giocare e insieme ad amici ed ex calciatori inizia l’avventura del calcio amatoriale, facendo l'allenatore per tantissimi anni. Prende in gestione un campo abbandonato nella cascina di Bugo (frazione di Ozzero) e con gli anni e tanto lavoro diventa il campo di calcio più bello della zona. Per molti anni milita nel campionato Aisa di Magenta, prima come giocatore e poi come mister. Continua il figlio: "Ha lasciato un buon ricordo in tutti quelli che lo hanno conosciuto, per la sua generosità fuori misura. L’affetto che stiamo ricevendo è tantissimo e siamo felici di questo".
Il Covid, la febbre, il ricovero e le speranze infrante. "Non è riuscito a vincere l'ultima partita"
"Era vaccinato, il 19 novembre avrebbe dovuto fare la terza dose, ma non ha fatto in tempo. Dopo una settimana di febbre, il 16 è stato ricoverato all’ospedale di Legnano dove hanno provato a curarlo tramite il casco. Il 22 hanno deciso di sedarlo ed intubarlo; non è riuscito a vincere l’ultima partita. Il 27 sera ci ha lasciati. Il 19, con il casco dell’ossigeno, era preoccupato che qualcuno passasse a prendere il defibrillatore a casa sua, perché la domenica c’era la partita. Il 22, prima che lo addormentassero, ci siamo sentiti al telefono e mi ha detto: «ciau nan, sa vedum quant che guarisi». Lascia me, sua sorella che vive in Friuli e mio figlio, il suo adorato Tommy. Mia mamma è morta di un brutto male 3 anni fa".
La generosità per il campo di Bugo, che Diego porterà avanti
"Un uomo la cui generosità ha sempre lasciato a bocca aperta. Mi sono sempre scontrato con lui perché si dava troppo, per tutto e tutti e tante volte poi ci rimaneva male. In quanti si sono approfittati di lui e della sua generosità. Ma poi mi diceva che non gli interessava, perché lui poteva andare in giro a testa alta".
Anche per questo Diego non è mai voluto entrare nelle dinamiche della società e della gestione del campo di Bugo, perché lo faceva troppo arrabbiare il vedere che fosse sempre il padre a far tutto e metterci tanti e tanti soldi.
"Quando tu arrivavi alla mattina lui era lì, aveva già acceso i riscaldamenti e gonfiato i palloni. Quando tu andavi via dopo aver bevuto l’ultima birra in compagnia, lui era lì a sistemare prima di chiudere tutto. Ora però gli prometto che non lascerò morire la sua creatura. Mi impegnerò per far sì che il campo di Bugo sia sempre la meta di tutti quei calciatori che smettono nelle categorie ma che hanno ancora la passione per il pallone, come l’aveva lui. Ecco, forse, le istituzioni si sono dimenticate di lui e di quello che è riuscito a creare a Bugo, in silenzio senza l’aiuto né morale né economico di nessuno. Ma lui era felice così e questo era tutto".