Cerro Maggiore

"Giuseppe Agrati non ci ha detto che le sorelle erano nella casa che bruciava"

Prima udienza del processo a carico del 69enne accusato di aver ucciso le sorelle Carla e Maria nell'incendio della loro abitazione nel 2015

"Giuseppe Agrati non ci ha detto che le sorelle erano nella casa che bruciava"
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"Giuseppe Agrati non ci ha detto che le sorelle erano nella casa che bruciava": il racconto dei Vigili del Fuoco durante la prima udienza del processo a carico del 69enne di Cerro Maggiore accusato di aver ucciso la sorelle nel 2015.

"Giuseppe Agrati non ci ha detto che le sorelle erano nella casa che bruciava"

Ha preso il via il processo a carico di Giuseppe Agrati, 69enne cerrese accusato di duplice omicidio aggravato e incendio: per la Procura generale di Milano è stato lui ad aver appiccato il fuoco nella sua casa di via Roma, la notte del 13 aprile 2015, incendio nel quale sono morte le sorelle Carla e Maria.
La prima udienza, svoltasi martedì nel Tribunale di Busto Arsizio, ha visto l’accusa e la difesa dibattere principalmente su due punti: il fatto che, secondo la Procura generale, Agrati (unico sopravvissuto alla tragedia) non avrebbe comunicato subito ai Vigili del Fuoco che all’interno dell’abitazione in fiamme erano rimaste le sorelle e poi la discontinuità tra l’incendio avvenuto al piano terra e quello al primo piano (dove c’erano le camere delle sorelle), fatto questo che la perizia dell’accusa ritiene provato dal fatto che vi siano stati tre punti di innesco dell’incendio (due di sopra e uno di sotto).

Sfilano i testimoni dell'accusa

L’udienza ha visto testimoniare i testimoni dell’accusa: sono stati ascoltati i Vigili del Fuoco intervenuti, gli ufficiali di polizia giudiziaria (in servizio nei pompieri) così come il comandante dei Carabinieri della stazione di Cerro Maggiore luogotenente Antonino Lisciandro che ha relazionato sull’intervento di quella notte e i successivi.
L’accusa ha messo sul banco un comportamento sospetto di cui sarebbe stato autore Agrati: quello cioè di non aver detto subito ai pompieri arrivati sul posto che Carla e Maria erano ancora all’interno dell’abitazione in fiamme: nel caso l’avesse comunicato, così come affermato dai Vigili del Fuoco in aula, il loro intervento sarebbe stato diverso ossia avrebbero utilizzato l’autoscala per arrivare alle finestre e cercare di metterle in salvo. "Ma questo non è vero - afferma l’avvocato Giuseppe Lauria, che difende Giuseppe Agrati insieme alla collega Desiree Pagani - Agrati, appena ha incrociato un Vigile del Fuoco, lo ha detto immediatamente".
Poi la "discontinuità" dell’incendio tra il piano terra e il primo piano: per l’accusa, e così come messo nero su bianco da un’accurata perizia, le fiamme sarebbero state appiccate in tre punti differenti e questo spiegherebbe infatti perchè, ad esempio, la scala di collegamento tra i due piani non ne sia stata intaccata. "Parrebbe esserci una discontinuità, qui è tutto un condizionale - ha ribattuto Lauria - E’ emerso inoltre che al primo piano tenevano bozzetti, quotidiani, vestiti, tutto era accatastato. Gli Agrati erano persone anziane, erano degli accumulatori: per noi questo è un elemento fondamentale e importante perchè può spiegare la diversa distruzione degli arredi tra i due piani. Occorre quindi vedere la differenza dei materiali andati a fuoco. Tra quei bozzetti e giornali vi erano anche manufatti da loro verniciati con dei pennelli, quindi con materiale che poteva infiammarsi".
Giuseppe Agrati ha fortemente voluto essere presente in aula: "Borbottava, gesticolava ed è stato anche ripreso dal giudice - ricorda Lauria - E’ arrabbiato, l’ho visto sù di giri. Forse ha metabolizzato l’ingiustizia che sta vivendo".
Il processo proseguirà martedì quando saranno ascoltati anche medici, personale della Scientifica e saranno presentati i dati delle autopsie delle due donne. La sentenza potrebbe arriva ad aprile.
Da ricordare che il caso era stato inizialmente seguito dalla Procura di Busto Arsizio che aveva chiesto l’archiviazione: da qui l’opposizione di un familiare delle vittime e la Procura generale che ha avocato a se il caso, di fatto riaprendolo. Da lì nuovi sopralluoghi, sequestri e intercettazioni fino al novembre 2019 con l’arresto di Giuseppe Agrati che avrebbe agito per motivi legati all’eredità.

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