Estorsione: imprenditore condannato a quattro anni
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Giuseppe Compagnone.
Regge anche davanti alla Corte di Cassazione l’impianto accusatorio dell’inchiesta «Itaca Free Boat» della Squadra Mobile e della Dda di Catanzaro, che nel luglio 2013 ha inferto un duro colpo alla cosca di ’Ndrangheta dei Gallace di Guardavalle e al clan alleato dei Gallelli, cristallizzandone l’infiltrazione negli appalti per la costruzione del porto turistico di Badolato. Nei giorni scorsi la Suprema Corte ha infatti rigettato i ricorsi contro le condanne d’Appello di quattro imputati, ne ha dichiarati altri due «inammissibili», ha pronunciato tre annullamenti senza rinvio (in tutti i casi i reati sono estinti per prescrizione, in un caso anche per morte del reo), riducendo infine a 15 anni e 8 mesi la pena residua per uno degli imputati principali, Maurizio Gallelli.
Estorsione: imprenditore condannato a quattro anni
Tra i ricorsi dichiarati «inammissibili» c’è anche quello di Giuseppe Compagnone, imprenditore edile 67enne all’epoca dei fatti residente ad Arluno. La sua condanna a 4 anni per estorsione è diventata così definitiva: secondo l’accusa, Peppino Compagnone – in concorso con altri tre – ha estorto all’imprenditore nautico Salvatore Ranieri i 25mila euro derivanti dalla compravendita di una barca. Fra il 5 e il 25 febbraio 2010, ha ricostruito la Procura, gli indagati hanno costretto Ranieri «a versare in favore di Compagnone la somma di denaro pari a 25mila euro (…), quale prezzo di un’imbarcazione che era stata acquistata da Compagnone negli anni precedenti presso l’impresa di Ranieri» e che l’imprenditore arlunese «intendeva restituire a fronte della somma pretesa, sebbene il valore di mercato, trattandosi di un modello ormai non più in produzione era inferiore di circa 15mila euro alla somma pretesa».
Condannato anche il boss Gallace
Per quell’episodio, nel luglio 2013, Compagnone era finito agli arresti domiciliari, per poi ottenere la libertà. Il gip catanzarese Assunta Maiore, nell’ordinare il suo arresto, aveva però escluso per lui l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso «tenendo conto dell’unica condotta a lui contestata e dell’assenza di documentati rapporti stabili con gli altri associati». Oltre a quella del 67enne di Arluno, gli ermellini hanno poi confermato le condanne pronunciate in Appello a carico del capocosca di Guardavalle, il boss Vincenzo Gallace (20 anni di reclusione, ma già all’ergastolo per altri fatti) e del suo «braccio destro» a Badolato, Vincenzo Gallelli (condannato a 15 anni di carcere). I supremi giudici hanno infine annullato parte della sentenza a carico di sei imputati limitatamente alla confisca dei beni. Sul punto dovrà ora pronunciarsi una nuova sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.