Carabinieri

Caporalato e lavoro nero nelle aziende cinesi che producevano borse di lusso

I Carabinieri del Nucleo Ispettorato del lavoro hanno effettuato ispezioni anche in opifici di Castano Primo e Dairago.

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La Alviero Martini, casa di moda celebre per le sue borse con la stampa a cartina geografica, è stata posta in amministrazione giudiziaria nell'ambito di un'inchiesta su caporalato e lavoro nero condotta dalla Procura di Milano e dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del lavoro.

Caporalato e lavoro nero, la Alviero Martini in amministrazione giudiziaria

L'azienda avrebbe affidato l'intera produzione, senza effettuare ispezioni o audit, a società terze, che a loro volta, infrangendo il divieto di subappalto, esternalizzavano le commesse a opifici gestiti da cittadini cinesi. Opifici nei quali la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri eccetera), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente e in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.

Mancati controlli sulla filiera produttiva

La Alviero Martini non è indagata, viene messa in amministrazione giudiziaria per non aver impedito il caporalato praticato dagli opifici clandestini ai quali si rivolgevano gli appaltatori ufficiali. La casa di moda affida, mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi.
Le aziende appaltatrici dispongono solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e possono competere sul mercato solo esternalizzando le commesse a opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento.
Tale sistema consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo, con il classico sistema "a strozzo" (qui sotto uno schema esemplificativo) l’opificio cinese che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza "in nero" e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti collettivi nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie.

 

Caporalato e lavoro nero nella aziende cinesi che producevano le borse

Controlli anche a Castano Primo e Dairago

Nel caso di specie, il Nucleo Ispettorato del lavoro di Milano a partire da settembre del 2023 ha effettuato accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari degli appalti nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia.
In particolare, sono stati controllati otto opifici (dei quali uno a Castano Primo e uno a Dairago), tutti risultati irregolari, nei quali sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini sul territorio nazionale. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento.

Denunciati dieci titolari di aziende cinesi

Dieci titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese sono stati denunciati a vario titolo per caporalato e altro, ed è scattata la denuncia anche per 37 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale.
Infine sono state inflitte ammende pari a oltre 153mila euro e sanzioni amministrative pari a 150mila euro e per sei aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.

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