Una targa per Mimmo Falcone, 22enne ucciso dalla mafia
A raccontare l'incubo di quel giorno Simona, la sorella. La commemorazione domenica a Bollate
Una targa per Domenico Falcone, il 22enne ucciso dalla mafia a Bollate. A raccontare l'incubo di quel giorno Simona, la sorella.
L'intervista alla sorella di Domenico Falcone, vittima innocente della mafia
Aveva solo 22 anni Domenico Falcone, per tutti "Mimmo", quando, nel marzo del 1990, fu freddato da due colpi di pistola nel bar Caruso, l’attività di famiglia a Cascina del Sole. Si sarebbe dovuto sposare con la sua Patrizia esattamente sette giorni dopo.
Ad estrarre la pistola e a sparare fu Liborio Trainito, latitante dopo una licenza concessa dal carcere di Trapani. Il suo obiettivo? Uccidere Mario Di Corrado per un regolamento di conti, che in quel momento era intento a giocare a carte. Insomma, Mimmo è una vittima innocente della mafia
Domenica alle 10,50 verrà inaugurata la targa in suo onore.
Chi era Domenico Falcone?
"Per noi era semplicemente Mimmo. Era più grande di me di due anni. Un ragazzo semplice, umile, che viveva per il suo lavoro, il calcio e per la sua fidanzata, Patrizia. Era un tifoso sfegatato del Milan ed era molto bravo col pallone. Ricordo quando nostra nonna gli regalò il suo primo pallone di cuoio, ero più piccola ma ricordo perfettamente che di notte ci dormiva assieme e di giorno lo nascondeva nella cartella della scuola. Crescendo Mimmo è diventato un ragazzo timido, talvolta troppo buono, che soffriva tanto il fatto che i nostri genitori non potevano passare tanto tempo con noi. Ero io, a volte, che lo coccolavo come fossi la mamma. Infatti quando si è fatto più grande, a lui non piaceva lavorare nel bar di famiglia e ha cominciato a lavorare come litografo a Milano. Il bar Caruso è passato dai nostri nonni ai nostri genitori e infine a me".
Vuoi raccontarci di quel giorno?
"Era un bellissimo sabato. Da lì ad una settimana Mimmo si sarebbe sposato ed eravamo in ballo con i preparativi. Lui nel pomeriggio ha partecipato al funerale del papà di un suo amico e si era intrattenuto un po’ più del dovuto. E’ arrivato al bar verso le 17.30 e stavamo parlando di come fare con la nonna, alla quale mancavano pochi giorni perché era malata e così avevamo scelto un posto per festeggiare il matrimonio in modo da permetterle di riposare dopo aver mangiato. Lui stava bevendo un cappuccio e mangiando una brioche perché ancora non aveva pranzato".
Seduto in un tavolino c’era Mario Di Corrado, un vostro cliente
"Sì, stava giocando a carte. A un certo punto abbiamo udito tre botti. Mio padre si è molto indispettito, perché ha pensato subito che stessero scoppiando dei petardi e dato che la nonna stava per venire a mancare, si era arrabbiato perché non era rispettoso per noi. Così a quel punto è sceso dal bancone e Mimmo lo ha seguito subito. Papà, però, si era sbagliato. Si trattava di colpi di pistola. Avevano sparato tre colpi alla nuca di Di Corrado. Non appena i clienti hanno capito, c’è stato il putiferio: gente che scappava, sedie all’aria, urla e un sacco di paura. E’ in quel momento di panico che quell’uomo che ha sparato, che poi è stato identificato come Liborio Trainito, membro del clan Epaminonda, ha fatto partire un altro colpo, un po’ di nascosto perché teneva solo la canna della pistola scoperta. Quel colpo ha preso mio fratello al fianco. Ma non gli è bastato: a quel punto lui ha estratto la pistola e gli ha mirato alla testa. Sparando di nuovo".
Quanto è durato il tutto?
"Cinque, sei secondi al massimo. Patrizia, la fidanzata di Mimmo, era lì, ma fortunatamente si è accasciata dietro il bancone e non ha visto la scena. Io sono stata testimone oculare. E anche dopo più di trent’anni quando chiudo gli occhi rivedo tutto quello che è successo. Quel colpo di grazia che ha strappato per sempre mio fratello alla vita".
Poi c’è stata la paura, il processo, arrivato fino alla Cassazione e all’ergastolo dell’assassino. Come avete vissuto quel periodo?
"E’ stato un periodo in cui ho dovuto affrontare praticamente tutto da sola. I miei genitori erano completamente sopraffatti dal dolore. Per anni ho dormito con la luce accesa, perché provavo tanta paura. Ho ricevuto minacce affinché io non parlassi durante il processo: ma non ce l’hanno fatta a fermarmi. Per dare giustizia a mio fratello e perché era giusto, abbiamo portato fino in fondo la cosa e ho reso giustizia a Mimmo. Mi hanno dato la scorta per parecchio tempo. Abbiamo chiesto l’ergastolo e l’ergastolo è stato dato. Mio fratello non c’entrava niente e il suo omicidio ha distrutto la nostra famiglia. E’ stata una cosa devastante. Oltre al dolore, la rabbia. Ancora oggi ci chiediamo “perché?”. Non ti rassegni ad una cosa del genere, impari a conviverci. Solo quattro giorni dopo, tra l’altro, è morta anche nostra nonna. Credo che mia mamma non sia riuscita a soffrire per questo, perché il dolore per aver perso il figlio in quelle condizioni era davvero troppo".
Come te lo immagini Mimmo, se non fosse stato ucciso dalla mafia?
"Com’era al tempo. Dal carattere dolce. Un padre di famiglia, un grande zio. Una persona generosa, proprio com’era quando è morto".
A Bollate si ricorderà Mimmo con una manifestazione totalmente dedicata a lui: come ti fa sentire questa cosa?
"E’ giusto che mio fratello sia riconosciuto come una vittima innocente della mafia. E’ esattamente quello che è stato: sapere che lo ricordano e lo ricorderanno tutti mi apre il cuore e mi fa sentire tanto felice. L’unica cosa che spero è che quello che è successo a lui non succeda più a nessuno. Non posso augurare ciò che abbiamo passato noi neanche al nostro peggior nemico. Portare lo stesso cognome di Giovanni Falcone, poi, per me, anche se non siamo parenti, è un grande orgoglio. Ho pensato subito fosse una grande coincidenza: Giovanni lottava contro ciò che ha ucciso mio fratello. E’ un onore chiamarci come lui".