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I 43 anni di attività del medico di famiglia Mario Marone

È andato in pensione pochi giorni fa. Aveva aperto l’ambulatorio nel 1982

I 43 anni di attività del medico di famiglia Mario Marone
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E’ stata la vera colonna portante della medicina di base curando quasi 10 mila pazienti a Garbagnate Milanese

Il medico di medicina generale Mario Marone è andato in pensione. Per Garbagnate Marone è stato un personaggio chiave dell’assistenza di famiglia non solo per la medicina generale ma come presidente dell’associazione La Piazza che continua oggi a vivificare il tempo libero dei cittadini con decine di appuntamenti culturali. Gli chiediamo:

Come è nata la sua passione di medico?

“La medicina generale nasce con la riforma sanitaria del 1978, prima di allora esisteva la figura del medico condotto, punto di riferimento fondamentale per la comunità, che prestava assistenza, spesso gratuita, soprattutto nei centri più piccoli – racconta Mario Marone – Mio padre, Nicola, è stato medico condotto a Garbagnate dal 1953 al 1978. Per lui la medicina era una vocazione: visite a domicilio a qualsiasi ora, conoscenza delle famiglie. L’università e gli amici hanno sicuramente avuto un ruolo per la mia scelta ma è stato soprattutto l’esempio di mio padre a influenzarmi.

Che tipo di popolazione c'era ai tempi del suo esordio?

Ho cominciato nel 1982, epoca molto diversa da oggi. La popolazione era composta da famiglie giovani con bambini. Operai e artigiani con anziani meno numerosi accuditi in casa. Il rapporto medico-paziente era diretto e personale. Si facevano ancora tante visite a domicilio.

Come si lavorava senza la burocrazia di oggi?

Con più libertà e tempo per il paziente. Era tutto scritto a mano, si richiedeva memoria e intuito. Allora sviluppai un mio programma per la gestione della cartella clinica, l’informatica era semisconosciuta. La burocrazia quando serve a curare è preziosa, quando è solo compilazione è un ostacolo.

È cambiato il rapporto medico-paziente con la tecnologia? Una volta la visita, oggi parla l’esame diagnostico.

Ah profondamente cambiato! Una volta la diagnosi si basava quasi esclusivamente sulla visita, ascolto del paziente e osservazione dei segni. Il medico arrivava alla diagnosi con pochi strumenti. Oggi, con ecografie, Tac, risonanze, il rischio è saltare l’ascolto e dell’esame obiettivo per affidarsi troppo rapidamente ai referti. La tecnologia però ha migliorato enormemente la capacità di individuare patologie in anticipo. Oggi sono indispensabili, nello studio, strumenti come l’ECG, Ecografo, Spirometro, permettono al medico di fare diagnosi senza dover andare in ospedale. Bisogna usare la tecnologia ma mai rinunciare al contatto umano.

Qual è il successo professionale di cui vai più fiero?

Essere stato un punto di riferimento costante per tanti pazienti. Non c’è riconoscimento più grande di quando qualcuno dice: “Lei c’era sempre”. Non un titolo ma la certezza, per gli altri che io ci fossi per aiutarlo. Un’altra cosa porto nel cuore: aver contribuito alla formazione di tanti colleghi, soprattutto giovani.

Qual è il fatto o la situazione di cui invece avrebbe fatto a meno?

Le morti premature. Quelle che non ti lasciano dormire. Quando hai fatto tutto il possibile, ma non è bastato. I momenti di scoraggiamento sono quando un sistema a volte, sembra ignorare il valore del nostro lavoro. L’ho sentito in modo particolare durante la pandemia: noi in prima linea, ma troppo spesso invisibili o peggio criticati.

I pazienti temono che nel tempo si perda il presidio confidenziale. Rimarrà?

È una domanda che tocca una delle sfide più grandi: cambiare senza perdere la propria anima. La digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, le case di comunità, stanno trasformando il contatto medico-paziente. Oggi c'è una grave carenza di medici e la popolazione teme di perdere questa figura vicina, capace di ascoltare nei momenti delicati. Se si perde questo servizio perdiamo tutti.

I dettami che il medico rivolge ai figli che diventano medici quali sono? Da domani entra in servizio suo figlio Andrea

Quando un medico diventa padre o madre di un medico di famiglia, i “dettami” che trasmette sono soprattutto esempi tramandati senza tante parole. Si cerca di trasmettere l’idea della medicina che va oltre la tecnica: una medicina di cura, di presenza, connotata dalla umiltà di mettersi in ascolto. Non si impara sui libri, ma si apprende osservando un padre che esce con la borsa a Natale o una madre che resta a parlare con un paziente fuori orario.

Se potesse tornare indietro rifarebbe tutto?

Certo. Con qualche errore in meno, magari. Ho vissuto una vita professionale piena, faticosa, ma ricca. E un lavoro che ha ancora un senso profondo.

 

 

 

 

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