A Legnano sta per abbassare la serranda una copisteria che affonda le sue radici in quasi un secolo di storia familiare.
Legnano perde un altro negozio storico: chiude la Copisteria Borsani
Un luogo che ha accompagnato generazioni di studenti, professionisti, architetti, tecnici e semplici cittadini, e che ora si prepara a chiudere definitivamente.
A guidarla negli ultimi anni è stato Stefano Borsani, erede di una tradizione iniziata addirittura nel 1930 con lo zio di suo padre, Iginio Antonelli: «Il negozio fu aperto da lui con il nome di Tecnorapida, era in via Giulini, proprio in centro. Poi negli anni si sono trasferiti in via Madonnina del Grappa, e nel 1980 mio papà decise di acquistarlo dopo un anno di chiusura, quando lo zio venne a mancare» racconta Stefano con un velo di emozione.
Da allora la copisteria è rimasta nelle mani della famiglia Antonelli, che l’ha portata avanti adattandosi ai cambiamenti del territorio e del mondo del lavoro. Stefano ne ha preso definitivamente le redini nel 2016, dopo un periodo trascorso altrove: «Prima lavoravo qui come coadiuvante familiare, poi per sette anni sono andato a fare altro. Quando l’azienda in cui ero ha chiuso, sono tornato e ho ripreso in mano l’attività, subentrando a mio padre». La decisione di tornare non fu semplice: «Era un misto di emozioni. Da dipendente la vita era più leggera, finivi il turno e staccavi davvero. Qui invece sei tutto: cliente, fornitore, tecnico, amministratore. Ogni scelta pesa solo sulle tue spalle. Però questo lavoro, nonostante tutte le difficoltà, mi è sempre piaciuto».
«Per noi la digitalizzazione ha rappresentato una lunga caduta»
A spegnere una realtà così longeva sono stati soprattutto i cambiamenti profondi nelle abitudini lavorative. Stefano lo racconta con lucidità e amarezza: «Per anni l’80% del nostro lavoro è stato riprodurre disegni in grande formato, più stampe, dispense, legature. Ma oggi è cambiato tutto: prima i progetti si stampavano in cinque copie, adesso in una, e spesso nemmeno quella. I Comuni si sono digitalizzati, gli studi usano piattaforme online, il Covid ha dato il colpo finale perché ha reso tutto digitale per forza». La sua riflessione è netta: «Non è sbagliata la digitalizzazione, sia chiaro. Anzi, rende tutto più rapido. Però per il mio lavoro è stata una lunga caduta. Oggi andare avanti significherebbe rimetterci, invece che portare a casa il mio onesto stipendiucolo».
E così, a 53 anni, Stefano ha dovuto prendere la decisione più difficile: «Purtroppo le condizioni per proseguire non ci sono più. Una volta chiuso, dovrò svuotare il negozio e poi capire se affittare o vendere. Qualche proposta nel settore ce l’ho, però se potessi cambiare e rigenerarmi un po’ lo farei volentieri. Una sfida nuova mi appassionerebbe».
«Le persone qui hanno sempre trovato qualcuno che le ascoltava»
La chiusura non è soltanto una scelta economica. È soprattutto un dolore personale: «Sono molto dispiaciuto. Questa attività ha superato guerre, momenti difficili, cambi di generazione. E quello che la fa cessare sono io. So che non è colpa mia, ma fa male. In questi giorni sto vedendo tantissimi clienti che mi chiamano, che passano a salutare, che chiedono il perché. Nessuno glielo impone, e vuol dire che umanamente qualcosa di buono abbiamo lasciato».
In un’epoca dove tutto è digitale, Stefano crede ancora profondamente nel valore del rapporto umano: «Le persone qui hanno sempre trovato qualcuno che le ascoltava. Anche per cose che non c’entravano col mio lavoro: c’era l’anziano che non riusciva ad aprire la ricetta del medico sul telefono e veniva qui. Gliela stampavo, gli spiegavo come fare. Se non potevo aiutare, lo indirizzavo a un altro negozio. Questa collaborazione di cortesia tra commercianti è qualcosa che mancherà. E mancherà anche il rapporto che si crea con la gente: da cliente diventi amico, si esce, si fanno cene, ci si sente. Questo non lo dà nessun file digitale».
Tra i ricordi più intensi, ce n’è uno che lo ha colpito profondamente: «Qualche giorno fa mi ha chiamato un architetto, amico e cliente da una vita. A un certo punto ho sentito il telefono singhiozzare. Mi ha detto: “Io qui ci sono cresciuto. Venivo con mio papà alle elementari, non arrivavo al bancone. Ho fatto scuole, laurea, lavoro, tutto sempre qui. La tua chiusura è come perdere un pezzo della mia vita”. Non me l’aspettavo, è stato commovente».
Legnano dice addio a un pezzo di storia e a un presidio di fiducia
Stefano ci tiene a lasciare un messaggio ai suoi clienti: «Mi piacerebbe si scrivesse che abbraccio calorosamente tutti quelli che sono venuti qui negli anni. Sono stati una piccola famiglia. Un pezzo della mia vita è anche grazie a loro».
Una storia lunga 95 anni si chiude. Non si spegne però ciò che ha rappresentato per Legnano: un presidio di fiducia, una bottega dove la tecnologia passava dalle mani di chi la conosceva e la spiegava con pazienza, un luogo dove una stampa non era solo un servizio, ma l’inizio di una chiacchiera. E forse, anche oggi, mentre le serrande dei negozi storici scendono, è proprio questo che manca di più.