L’appello da Londra: “Cerco chi ha salvato mio zio soldato"
La storia, coi suoi risvolti, emerge dai social, attraverso la ricerca del londinese Paul Barlow
Una vicenda di solidarietà nascosta tra le pieghe della storia, che nasconde in sé anche un curioso e divertente giallo: chi nel luglio del ‘45 si fece rimborsare la bellezza di 1.000 lire col nome di “Alberto Introini di Cisliano” per aver nascosto e sfamato 3 soldati inglesi per 8 giorni, se a detta degli eredi degli Introini coinvolti, in famiglia di “Alberto” non ce n’è mai stato nessuno e se all’anagrafe di Cisliano tra le liste della popolazione residente non risulta mai esserci stato alcun Alberto Introini?
La ricerche avviate da Paul Barlow
La storia, coi suoi risvolti, emerge dai social, attraverso la ricerca che il londinese Paul Barlow, pronipote del soldato inglese George Michael Noakes, classe 1919, ha intrapreso per ritrovare gli eredi degli agricoltori che nel ‘43 aiutarono a scappare dalla prigionia tedesca il prozio, nascondendolo in casa propria. Barlow, che fin da piccolo ha sentito parlare di Binasco (MI) nei racconti legati alle vicissitudini di guerra del prozio e alla sua rocambolesca fuga in Svizzera grazie ai partigiani di Corsico ha lanciato il proprio appello su due gruppi binaschini di FB.
“Cerco di rintracciare la famiglia Introini che ospitò il mio prozio dopo la sua fuga dal campo di prigionia 62/32. Alberto Introini è documentato negli archivi della Allied Screening Commission (ASC), istituita per sostenere e riconoscere gli italiani che hanno rischiato la vita, talvolta anche perdendola, per aiutare i fuggitivi. Il processo durò un paio d'anni con la partecipazione di circa 60 mila italiani – spiega Barlow -. Sto ancora cercando la famiglia Oldani per la quale George ha lavorato come prigioniero di guerra (ad alcuni prigionieri infatti era permesso lavorare) nella loro fattoria. L’hanno nascosto la prima settimana di libertà, prima di consegnarlo ad Alberto Introini. Grazie al loro aiuto il mio prozio riuscì a sopravvivere e ad avere cibo, vestiti e un tetto sopra la testa prima di incontrare la Resistenza, prendere un treno da Milano pesantemente bombardata, arrivare a Como e infine oltrepassare le Alpi fino ad arrivare a Chiasso in Svizzera”.
Il tutto corredato da due documenti: uno proveniente dagli archivi dell’ASC degli Stati Uniti, l’altro dagli archivi svizzeri. Di condivisione in condivisione, il post di Barlow ha permesso, in parte, di ricostruire le vicende storiche legate alla fuga verso la salvezza del prozio. Ma si è arenata sul fantomatico Alberto Introini, il cui nome compare il 13 luglio 1945 sul cedolino di rimborso spese che gli Alleati predisposero per ristorare dei costi sostenuti per il mantenimento e le cure personali date ai soldati fuggiti dai campi tedeschi di prigionia.
Tra le cascine del territorio
Mentre la ricerca degli Oldani non ha avuto esito favorevole, quella degli Introini un risultato positivo l’ha avuto, permettendo alla signora Elisabetta Introini di Vernate (MI), paese confinante con Binasco, di gettare un po’ di luce sulla storia del soldato Noakes.
“Gli Introini sono originari di Corbetta, Battuello per la precisione – spiega la donna -. Sono stati negli anni 20 alla cascina Mischia di Cisliano, poi nel ‘34 alla Scaccabarozzi di Bià, infine nel ‘37 sono andati a Vernate al Podere Ca Granda, noto anche come Cascina Nuova e Addis Abeba. Il campo di lavoro per prigionieri era a Vernate alla cascina degli Andreoni, che confinava con noi. Nella famiglia Introini, però non abbiamo mai avuto nessun Alberto. I fratelli Introini, in ordine di età, erano: Carlo, Giovanni, Angelo, Enrico e Giuseppe, mio nonno. I miei nonni ospitarono e nascosero un prigioniero sudafricano. Mio nonno organizzò anche la fuga in Svizzera coi partigiani di Corsico e per questo ricevette un encomio solenne dal generale inglese Alexander. Oldani era il cognome di una cognata di mio nonno. Negli anni in cui la famiglia Introini gestiva la Mischia di Cisliano, lo faceva con gli Oldani. Ma solo fino al ‘34. Nessun Alberto esiste nella famiglia Introini”. Invece, dalle carte, il presunto salvatore del soldato Noakes si firmava proprio “Alberto” e si dichiarava figlio di Giovanni Introini, chiamando come testimone, ai fini del rimborso, non già il Parroco o il Sindaco in carica nel ’45, come specificato nel modulo di richiesta predisposto dagli Alleati, bensì un certo Giuseppe Cucchi, qualificato come agricoltore della Cascina Pelolio di Cisliano. In effetti un Giovanni c’era tra i tanti fratelli Introini, ma stando alla pronipote, che di certo ne sa più di tutti, figli di nome Alberto il prozio Giovanni non ne aveva proprio: “I figli maschi di Giovanni si chiamavano: Attilio, Alessandro e Mario” puntualizza Elisabetta Introini, aggiungendo che dopo il ’37, anno in cui gli Introini lasciarono La Forestina di Cisliano, in cascina rimasero gli Oldani, fratelli maschi di Maria sposa di Enrico Oldani, che potrebbe pertanto essere sorella di quel tal Carlo Oldani di cui però si perdono le tracce e che a detta del pronipote inglese avrebbe poi “passato” i soldati fuggiaschi al sedicente “Alberto Introini”.
Il cold case delle 1000 lire
Fatto sta che, al di là del curioso “cold case” legato al cedolino di rimborso per 1.000 lire presentato da “Alberto Introini” per aver nascosto, vestito e sfamato per 8 giorni soldati inglesi fuggitivi, dagli atti risulta che il medesimo “Alberto”, oltre al soldato Noakes, avrebbe aiutato anche altri due suoi commilitoni: W.Knoff originario dello Iorkshire e I.Wuillet di Smethwick nella contea delle West Midlands. Una cosa è certa: al di là del nome, chiunque sia stato, ha rischiato la vita per salvare tre soldati, e questo resta comunque un gesto nobile e meritevole di ammirazione.