Il caso

Per gli infermieri niente quarantena: se non ci sono sintomi si continua a lavorare

Il sindacato Nursing Up contro l'ultima circolare della Regione: a differenza degli altri cittadini, nessun isolamento precauzionale per gli infermieri che, in caso di contatto con un positivo, devono continuare a lavorare con colleghi e pazienti. Per loro, la quarantena finisce fuori dal posto di lavoro.

Per gli infermieri niente quarantena: se non ci sono sintomi si continua a lavorare
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Siete stati a  contatto con un positivo? Dovete stare a casa in isolamento. Vale per tutti, tranne per chi lavori negli ospedali. E' il succo della circolare emanata da Regione Lombardia che, data la situazione di emergenza, chiede di presentarsi comunque al lavoro in caso si sia asintomatici, stando poi in isolamento a casa. Una proposta che ha mandato su tutte le furie i lavoratori.

Infermieri? Niente quarantena

“Una circolare della Regione Lombardia da poco arrivata sul mio tavolo mi fa sobbalzare dalla sedia, mi fa indignare e mi lascia senza parole”. Chi parla è Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up. Il motivo, è la circolare regionale che riaccende subito l’attenzione e una polemica che dopo le tragedie della prima ondata si sperava non tornasse più. Non solo i turni massacranti (a Varese hanno già iniziato quelli da 12 ore) ma a causa dei numeri insufficienti del personale anche la venuta meno della quarantena in caso di possibile contagio:

“Infermieri, tra i contatti di caso che sono venuti a contatto diretto con pazienti infetti, quindi palesemente a rischio contagio e potenzialmente pericolosi per se stessi (in caso di eventuale manifestazione ed aggravamento dei sintomi) e per gli altri (nuovi pazienti e colleghi) vengono inseriti in un percorso di ‘sorveglianza attiva’. Per 10 giorni, tanto dura la loro ‘pseudo-quarantena’, se non si riscontrano sintomi o se non risultano positivi ai test loro effettuati, sono costretti a lavorare, perchè l’Italia, perchè la sanità pubblica, perchè le Regioni, non si possono permettere di mandarli a casa per un periodo continuativo come si fa con qualunque altro lavoratore, uomo o donna, affetto da Covid, anche se è asintomatico”.

Una “vergognosa prassi”

De Palma definisce la cosa una “vergognosa prassi”, la stessa come detto già denunciata tra marzo e aprile in altre Regioni. Mesi in cui il Paese si stringeva intorno agli eroi in camice che costituivano la prima linea contro l’emergenza, in cui si chiedeva per loro maggior rispetto e riconoscimento. Mesi che ormai sembrano, al momento, lontani. La soluzione, secondo il Nursing Up, era (ed è) ovvia: assumere più personale.

Una scelta simile, quella di “sospendere” di fatto la quarantena per il personale sanitario al lavoro, che anche la città di Liegi, nel Belgio che si trova in una fase ancora più avanzata della seconda ondata (ma che non si discosta molto da quella che stanno vivendo diversi territori lombardi), ha adottato. Lì gli ospedali sono già al limite del collasso, e le autorità cittadine non hanno avuto altra scelta che richiamare in servizio i medici positivi ma asintomatici. L’unico compromesso per far reggere ancor ail sistema sanitario, anche se con un aumento del rischio di diffusione del coronavirus nelle corsie.

Possibili positivi a contatto con pazienti e colleghi

In quei mesi proprio tra il personale sanitario si verificò un enorme dramma, fatto di infermieri e medici ammalatisi sul posto di lavoro, finiti anche in gravi condizioni, che involontariamente avrebbero contribuito alla diffusione del virus all’interno delle strutture. Vero che ora il nemico si conosce di più, che i dispositivi di protezione non mancano nemmeno in ospedale, ma col Covid si è visto ormai che il rischio zero non esiste. “Incredibile ma vero – continua De Palma – per far fronte ad una situazione drammatica, per provare a sostenere il peso di ricoveri sempre più frequenti, in questa preoccupante seconda ondata di pandemia, cosa hanno pensato di fare i nostri datori di lavoro? Impongono agli infermieri che sono venuti a contatto diretto con persone infette ( anche fuori dall’ospedale ), e quindi a rischio di essersi beccati il covid 19, ma asintomatici, di continuare a lavorare. Lasciandoli quindi ancora a contatto con pazienti e colleghi“.

I controsensi

La circolare prevede il monitoraggio degli infermieri a rischio con continui tamponi a scadenze precise: uno il primo giorno dopo la scoperta del contatto di caso, poi uno il quinto giorno e uno finale il decimo. “A questo punto viene spontaneo chiedersi cosa succede se tra il giorno del primo test  ed il quinto giorno (quello in cui il test viene ripetuto) l’infermiere diventa positivo in modalità asintomatica? – chiede De Palma – Cosa succede a tutti i colleghi e le persone con i quali nel frattempo sarà entrato in contatto? Qualcuno potrebbe rispondere che questo non dovrebbe portare conseguenze perchè gli infermieri sono tenuti, per mandato, in ospedale, ad indossare le mascherine e questo è vero, ma allora non si giustifica in alcun modo l’isolamento richiesto a tutti coloro che vengono a contatto con un soggetto positivo, basterebbe fargli indossare un mascherina e mandarli in giro tra la gente e al lavoro, come si fa con gli infermieri… Ma vi è di più, perchè, come si è detto, se tra il secondo ed il decimo giorno l’infermiere non presenta ancora sintomi tali da essere mandato a casa e se è negativo, egli continua a lavorare come nulla fosse successo. Ma in quei 10 giorni comunque resta a contatto con pazienti, colleghi e soprattutto con familiari e amici ogni volta che torna a casa tra un turno e l’altro”.

Al lavoro sì, a far la spesa no

Ma non è tutto. Perchè se si considera “sicuro” (per infermieri e medici) continuare a lavorare, indossando dpi e con tamponi periodici, a stretto contatto con pazienti e colleghi, non lo è uscire di casa. Fuori dal luogo di lavoro la quarantena c’è tutta. “Ma come? Anche se il test è negativo, anche se non ci sono sintomi, comunque vieni considerato a rischio al punto tale che ti viene chiesto di non uscire di casa ed invece quando sei sul posto di lavoro ti tocca continuare a circolare tra personale e ammalati come se nulla fosse perchè tanto hai una mascherina?” si chiede il presidente del sindacato.

“Siamo bestie o esseri umani?”

De Palma è furente:

“Siamo bestie o esseri umani? Nel nostro Paese, chiunque viene a contatto con persone infette, deve osservare un periodo di almeno 10 giorni di quarantena domiciliare, questo è doveroso. Accade nello sport, nella società civile, in tutti i settori lavorativi. E’ una indispensabile forma di tutela per il resto delle persone che stanno bene. Per evitare pericolosi focolai. Gli infermieri no! Loro restano sul posto di lavoro. Anche se potrebbero diventare vettori ci contagio per pazienti e colleghi. Ma soprattutto per le loro famiglie quando tornano a casa tra un turno e l’altro, o forse no, a casa no, perchè basterà che indossino una bella mascherina e la faccenda si risolve…vero? Non ho ancora capito se, per questi signori, l’infermiere ha diritto o meno ad una vita privata. Manca solo che ci vietino addirittura di togliere la divisa alla fine del turno e di tenere le mascherine 24 ore su 24 nelle nostre case, perchè non ci dobbiamo ammalare, se no chi ci va a lavorare negli ospedali nonostante il rischio! Insomma, questa circolare della Regione Lombardia si commenta da sola! Ci chiediamo adesso, e avvieremo una immediata indagine in tal senso, in quanti altri territori viene applicato questo scabroso protocollo. Indagheremo per scoperchiare un pentolone che temiamo riservi altre sorprese di cui non andare certo fieri”.

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