Maxi operazione contro la ‘Ndrangheta: indagini anche nel Legnanese, Rhodense e Bollatese
In parte sono in carcere, altri agli arresti domiciliari e due con l'obbligo di dimora.
E’ di 22 ordinanze di custodia cautelare, di cui 16 in carcere, 4 ai domiciliari e 2 all’obbligo di dimora, il bilancio della maxi operazione antimafia condotta dai Carabinieri dei Comandi provinciali di Monza e Como alle prime luci dell’alba di giovedì.
L’inchiesta, nella quale sono coinvolti 27 indagati in totale, riguarda i territori della Brianza e del Comasco, ma le indagini sono passate anche per le zone del Legnanese, del Rhodense e del Bollatese.
I capi d’imputazione
L’operazione, nata dall’unione di due ampie attività investigative, ha inferto un durissimo colpo alla locale di ‘Ndrangheta di Seregno, che fa capo al clan vibonese dei Cristello. Le accuse, mosse a vario titolo dai pm Cecilia Vassena e Sara Ombra e dall’aggiunto della Dda Alessandra Dolci, vanno dall’associazione di stampo mafioso all’estorsione, dal porto abusivo alla detenzione di armi, fino al reato associativo finalizzato al traffico internazionale di droga.
Gli affari del clan
Secondo quanto riportato nelle 867 pagine di ordinanza di custodia cautelare, firmate dal gip Raffaella Mascarino, gli uomini delle ‘ndrine erano riusciti a mettere le mani sul business dei servizi di sicurezza all’esterno dei locali della movida brianzola e milanese grazie alla collaborazione con persone del settore munite di regolare licenza prefettizia. Oppure tramite le intimidazioni. Si legge nell’ordinanza: «Chiamo il direttore del locale e gli dico: “Non ti permettere di fare venire un altro da Milano a lavorare dove ci siamo noi, perché tu il venerdì apri, il sabato sera veniamo noi, ti tiro giù tutta la sicurezza e tutti i buttafuori, e chiudi”».
Altra attività riguarda i venditori ambulanti di panini, per i quali è la ‘Ndrangheta a deciderne postazioni e a risolvere eventuali controversie. A questi si affiancano poi gli affari «classici», ossia il recupero crediti con metodi estorsivi e minacce («Io gli sparo quattro colpi in testa, gli faccio saltare il cranio»). Il tutto, ricostruiscono gli inquirenti, per il sostentamento dei sodali in carcere: «Tutti i mesi bisogna mandare il regalo agli amici che purtroppo non ci sono più a lavorare con noi, e hanno bisogno di mangiare giustamente».
L’omicidio di Bernate
Secondo la Dda, a guidare il gruppo sarebbero stati i cugini Umberto (da poco scarcerato e con «un curriculum criminale di tutto rispetto», scrive il gip) e Carmelo Cristello, di 53 e 40 anni, subentrati al capo-locale Rocco Cristello, condannato in via definitiva all’ergastolo insieme al fratello minore Francesco e al pastore bernatese Leonardo Prestia per l’omicidio di Rocco Stagno, esponente della ‘ndrina rivale ucciso e seppellito nei boschi di Bernate Ticino il 27 marzo 2010. Esecuzione che, come ricostruito nelle operazioni «Infinito» e «Bagliore», sarebbe arrivata al culmine della guerra tra i due clan, in risposta dell’uccisione di un omonimo Rocco Cristello, fratello del già citato Umberto, alla guida del locale dai primi del 2000 fino al suo omicidio, avvenuto in Brianza il 27 marzo 2008.
La droga e Cuggiono
Dalle carte dell’inchiesta emerge anche il ruolo di primo piano che gli indagati avrebbero ricoperto nel traffico di sostanze stupefacenti. In questo settore, la figura chiave sarebbe quella del 35enne Domenico Andrea Favasuli, in carcere per «la capacità dimostrata con i fatti di saper superare i momenti di difficoltà nella gestione dell’attività di narcotraffico». Attività ingente, come dimostra la partita da 30 chili di cocaina marchiata «Prada» (come sinonimo di qualità) di cui discute insieme a un soggetto non identificato di nome Roberto, con l’auspicio che il reperimento della droga sia meno tortuoso del passato. «Quello dell’Olanda – spiega Roberto – la dà a un certo Stefano e Stefano la dà a te (…)». «Lo so chi è questo Stefano?», replica l’interlocutore. «No, no. A Cuggiono deve essere». «Cuggiono?», chiede attonito Favasuli. «Un bordello è successo…».
L’«ondata» di Legnano
Il presunto boss Carmelo Cristello era però preoccupato per «possibili attività d’indagine in essere nei loro confronti», specie dopo l’ondata di arresti contro la locale di Legnano-Lonate Pozzolo del luglio 2019. E i suoi timori li confida a un amico: «Eh vedi che bordello hanno combinato con questi arresti… Devi vedere quella che arriva ora da Legnano!», dice. «Li sotterrano questi di Legnano!». Altro riferimento alla città lo troviamo in un’altra intercettazione ambientale, dove Cristello discute con un certo Peppe come impostare l’attività dell’officina meccanica di Mariano Comense da poco rilevata. «Adesso dietro si fa tutto il piazzale delle macchina, che si vende qualche macchinella (…) E quello che fa meccanica era un dirigente, era il direttore della Mercedes di Busto Arsizio, poi di là è passato alla concessionaria Subaru a Legnano, (…) siccome si è fatto fidanzato con mia cugina e adesso c’è tutto questo accordo per prenderlo noi, dice almeno facciamo qualcosa di buono».
Incontri e scambi a Rho
Uno dei più ingenti scambi di droga documentati dalla Procura sarebbe avvenuto a Rho, in via Cadorna. Qui, attorno alle 17 del 24 ottobre 2019, arriva a bordo della sua Renault Twingo Virgilio Malacrinò (in carcere), dove incontra un uomo «non identificato e in sua presenza azionava il congegno elettrico che permetteva l’apertura del vano doppiofondo, dal quale prelevava sette chilogrammi di stupefacente», poi consegnati all’acquirente, al quale suggerisce anche di sigillare i pacchetti con lo scotch, «al fine di evitare ulteriori danneggiamenti e deterioramenti».
A Rho altri due indagati, Marcello Crivaro (in cella) e Andrea Antonio Tornicchio (obbligo di dimora), vengono pedinati mentre incontrano in un pub il fratello pluripregiudicato del pentito Francesco Oliverio, Luigi (non indagato), nei confronti del quale «volevano far valere le proprie ragioni» dopo aver incassato il via libera da Carmelo Cristello e dal suo presunto «fiduciario», Massimiliano Tagliabue (finito in carcere).
La droga nel Bollatese
Ai domiciliari è finito invece Samuele Mattia Caldirola, 29enne originario di Bollate, arrestato perché «collabora assiduamente» con il fratello minore Igor (classe ‘95, in carcere) «nell’attività di rivendita dello stupefacente». Quest’ultimo, insieme a Virgilio Malacrinò, il 25 ottobre 2019 avrebbe acquistato a Novate Milanese un carico di marijuana «analiticamente non potuta accertare, ma comunque non modico, che successivamente occultavano presso un appezzamento di terreno» a Desio.
A Bollate – secondo quanto riferisce Umberto Cristello – si troverebbe infine il ristorante della famiglia Palamara, con i quali il presunto boss «si guarderebbe bene dal farsi controllare» perché altrimenti «sai come mi combinano!».