Morti in corsia, la morte di Domenico Brasca entra nel processo

Riprende il processo, medici, infermieri e famigliari di Brasca testimoni.

Morti in corsia, la morte di Domenico Brasca entra nel processo
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Oggi in aula i testimoni sull'ultima morte sospetta collegata all'ex medico del Pronto Soccorso Leonardo Cazzaniga.

Morti in corsia, il caso Brasca

Tracce di farmaci neurolettici e ansiolitici, gli stessi riscontrati nelle altre presunte vittime del Protocollo Cazzaniga. E' con questi elementi che stamattina il caso del decesso di Domenico Brasca, l'81enne di Rovello Porro deceduto in casa propria nell'agosto del 2014. Il suo corpo era stato riesumato il 21 maggio e la sua cartella era tra le oltre 80 esaminate dal pm Maria Cristina Ria nella prima fase dell'indagine. Le analisi hanno confermato la presenza di Midolazepam, Promazina e Clorpromazina, che secondo la perizia presentata a ottobre avrebbero aggravato le condizioni dell'anziano.

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Quadro clinico grave

Come emerso dalle testimonianze della giornata dei medici, delle due figlie Roberta e Antonella e del genero Gianfranco, Domenico Brasca presentava un quadro clinico particolarmente grave. Due giorni prima del decesso era stato dimesso dalla clinica Maugeri, dov'era stato ricoverato per un'insufficienza respiratoria e una polmonite e complicazioni per uno scompenso cardiaco. Brasca aveva già subito due infarti in passato, aveva un peacemaker e presentava una neoplasia tumorale all'intestino. Dimesso dalla Maugeri, due giorni dopo è tornata la febbre. I famigliari hanno chiamato la guardia medica che ha poi deciso di chiamare il 118 per il trasporto a Saronno. Alle 5 l'ingresso al Pronto Soccorso, la visita del dottor Raffaele De Luca e il dottor Giosuè Meazza della Terapia Intensiva. Alle 10 le dimissioni richieste dalla famiglia dopo aver saputo da Cazzaniga che il padre stava morendo. Poi, a casa, il decesso.

"Parlava e sorrideva. Un'ora dopo stava morendo"

Cos'è successo in Pronto Soccorso? "Dopo aver parlato col dottor Meazza lo abbiamo visto. Parlava, sorrideva, scherzava perchè gli avevano tagliato la maglietta. Ha anche detto qualcosa come 'anche questa volta ce l'ho fatta' - ha ricordato la figlia Antonella - Poi un'infermiera ci ha fatte uscire dicendo che doveva pulire. Un'ora dopo è arrivato in sala d'attesa Cazzaniga, senza camice. Abbiamo parlato di tutt'altro, quando gli abbiamo chiesto come stava papà ci ha detto che stava morendo. 'Con tutte quelle patologie cosa vi aspettavate?', ci aveva risposto. Un'ora prima parlava, quando siamo andati a trovarlo non parlava ed era tutto contorto". Lì la decisione di portarlo a casa, così che potesse spegnersi tra le mura domestiche come avrebbe desiderato. Dalla testimonianza di Meazza, però, si è appreso che Brasca si trovava in stato "prea-agonico", "non migliorabile". "Ci disse che non voleva portarlo in Terapia Intensiva ma in Medicina -ha ricordato il genero - non perchè". Il perchè, in aula, è arrivato dallo stesso Meazza: "Era pre-terminale - aveva detto al termine della sua audizione - Era al massimo del trattamento farmacologico sopportabile, non era migliorabile".

Il mistero della siringa

Su un dettaglio in particolare si sono concentrate le domande delle parti ai famigliari di Brasca. Sulla grossa siringa di circa 3 centimetri di circonferenza e piena oltre la metà che, hanno spiegato i testimoni, sarebbe stata data da Cazzaniga al genero dell'anziano insieme alle carte per le dimissioni. "Mi ha dato la siringa dicendomi in caso di peggioramento di iniettarla nella sacca della flebo - ha riferito il genero, Gianfranco Preziosa - Qualche anno prima ho perso mio papà e quando era peggiorato gli avevano dato una cura di morfina. Ho pensato fosse la stessa cosa per alleviare il dolore, il contenuto sembrava uguale. L'ho interpretata come una cortesia da parte del dottore. Mi chiese di non dire nulla a riguardo o l'avrei messo nei pasticci".

Il servizio completo su La Settimana di Saronno di venerdì 25 gennaio.

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