La badante della Sachsel: "Sono sola, aiutatemi".

Un appello per tornare ad una vita serena.

La badante della Sachsel: "Sono sola, aiutatemi".
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Una storia di solitudine, che parte dal sud, passa attraverso un calvario inimmaginabile costellato da qualche angelo custode e che, ora, l’ha vista ripiombare nel buio. Giuseppina Gambino ha 55 anni e poche speranze per il suo futuro.

Il calvario di Giuseppina

Ha scelto di raccontare la sua storia a Settegiorni, sperando di trovare un appiglio per ricominciare a vivere.
«Sono sola, da tempo ho perso tutto: famiglia, salute, lavoro. Vivo alle case Aler nella zona nord con un compagno, ma le cose non vanno bene e desidero solo ripartire da zero. Non mi interessa dove né come. Mi basta un “buco”, anche perché vivo con meno di 300 euro al mese. Sono disposta a trasferirmi dall’altra parte dell’Italia. Mi è rimasta solo una valigia con pochi vestiti, oltre al mio cagnolino». Aveva 40 anni Giuseppina quando si trasferisce al nord, dopo un matrimonio finito e tre figli con cui i rapporti sono scialbi. «Sono ripartita da zero. Ho fatto l’operaia per un po’, poi l’azienda si è trasferita e io ho perso il lavoro. Ho iniziato a fare la badante, finché la salute mi ha tradita». Un senso di debolezza, qualche malore. E’ il 2012 quando Giuseppina vede la morte in faccia: «Sono svenuta, ho perso conoscenza per ore. I medici dicono che son viva per miracolo, non sanno neppure come sia possibile che mi sia risvegliata». Il miracolo della vita segna l’inizio di un vortice negativo, fatto di malori, ricoveri, operazioni e riabilitazioni. «Avevo tubi ovunque, faticavo a respirare, non ero più quella di prima. Ed ero sola. Ricordo ancor all’infermiera che, un giorno, mi spazzolò i capelli e mi rinfrescò con una crema sulla schiena. Erano loro, medici e infermieri, la mia unica famiglia». Giuseppina non aveva più nulla: né soldi né una casa dove tornare, nemmeno nella famiglia d’origine.

Fu la badante della dottoressa Elena Sachsel

Il destino la porta alla Casa d’accoglienza di Magenta, dove resta due mesi e mezzo. Lì, l’incontro della svolta, con la dottoressa Elena Sachsel, l’angelo degli ultimi. «E’ nato un legame con Elena. Diventai, di fatto la sua badante. Era una donna forte, cocciuta. Per questo dava anche fastidio a molti. Lei aiutava tutti, senza guardare in faccia a nessuno. Era generosa, sì, ma a volte non era semplice starle vicino. Andai a vivere con lei a Santo Stefano. Non sapeva cucinare, le preparai io la prima colazione a casa. Cucinavo, sedevo vicino a lei mentre guardava la tv a tutto volume la sera fino alle 23.30. Poi mi chiedeva sempre un frutto o qualcosa di dolce prima di addormentarsi. Guidava come una pazza, andava dappertutto. A volte si fermava e guardava il cielo. Adorava farlo. Negli ultimi giorni di vita non mangiava. Se la sgridavo, diceva: “Mangio solo i tuoi pesciolini fritti”. Mi ha insegnato molto, soprattutto a dare agli altri senza pensare a cosa torna. La sua generosità resta, per me, un esempio di vita».

Cerca un alloggio per vivere

La mano della Sachsel stringe ancora oggi virtualmente quella di Giuseppina che, dopo la sua morte, si è ritrovata sola. Col compagno le cose non funzionano e i suoi sogni di una vita normale s’infrangono nuovamente. Ora vive nella casa di lui, vorrebbe andarsene ma non può. Con i 300 euro dell’invalidità non può vivere, nonostante il Comune e la Caritas la aiutino con bollette, medicinali salvavita e pacchi alimentari. «Ho molto amore da dare, ma la vita con me è stata crudele, mi ha tolto tutto. Mi salvai per miracolo, ma perché? Tranne la parentesi con Elena ho avuto solo sofferenze», racconta. Ma quello spirito battagliero che la anima, rafforzato dal legame speciale con la dottoressa degli ultimi, la spinge a non arrendersi: «Mi rivolgo a chiunque voglia darmi una possibilità. Non chiedo molto, solo un piccolo spazio dove vivere serenamente la mia terza età». Una storia di solitudine tra tante, proprio nella nostra città. Davanti alla quale ci si sente impotenti, ma non si riesce a chiudere gli occhi…

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