Don Antonio Giovannini lascia la Canazza
Dopo sei anni di lavoro pastorale nella parrocchia San Pietro, il prete "albanese" prenderà servizio a Samarate.
Don Antonio Giovannini lascia Legnano.
Don Antonio Giovannini destinato a Samarate
Dopo sei anni, la parrocchia di San Pietro in Canazza dovrà salutare don Antonio Giovannini. Il sacerdote è stato infatti chiamato a prestare servizio nella comunità pastorale Maria Madre della Speranza di Samarate, in provincia di Varese.
Il prete "dei montanari armati col kalashnikov"
Don Antonio era arrivato a Legnano nel settembre 2014, dopo 15 anni trascorsi in Albania come fidei donum. E oltre ai suoi incarichi nella città del Carroccio, gli era stato affidato il ruolo di vicario della Cappellania dei migranti a Milao. Così, nel novembre 2015, aveva raccontato a Settegiorni la sua esperienza nel Paese delle aquile.
«La mia esperienza in Albania ha un precedente. Nel 1985 il cardinale Carlo Maria Martini mi chiese di aprire una casa di accoglienza per rifugiati alla periferia di Milano. In quella realtà milanese sono rimasto per 11 anni. Dopo fui trasferito a Garbagnate. Lì ci è stata mandata una comunità di albanesi che avevano vissuto la crisi del ‘97. In quell’anno l’Albania ha vissuto una piccola guerra civile. Mi è venuta così la curiosità di capire da dove venisse quella gente. Subito vidi che c’erano pochissimi preti: il regime “nazional-comunista” aveva fatto fuori tutti i sacerdoti. Allora è nata in me la vocazione per l’Albania. Quando andai a viverci era la fine del 1999. Sono stato lì 15 anni. Gli ultimi cinque li ho passati tra le montagne al confine con il Kosovo: sono stato il primo prete fisso in quelle zone dopo ottant’anni. Ero il successore dei martiri albanesi che vennero uccisi. Non avevo le comodità. La cosa mi ha colpito di più è stata la mancanza di speranza e di progetti nei giovani: quei ragazzi erano come dei personaggi in cerca di autore. E la colpa di tutto questo è stato il regime comunista: tutto in mano al partito, anche il futuro della gente. Caduto il regime nel 1990-91 è però subentrato il liberalismo selvaggio. Il regime ha impedito di informarsi e faceva credere che l’Albania fosse l’unico Paese sviluppato nel mondo mentre gli altri fossero all’età della pietra. In Albania c’è tanta corruzione. E quindi mi è capitato di trovarmi davanti i politici e i mafiosi locali. Ma non solo loro, ho avuto scontri anche con commercianti italiani che lucravano sullo sfruttamento delle donne. Però non correvo rischi: sapevano tutti che ero il prete dei montanari, e ogni famiglia di questi ha almeno un paio di kalashnikov (anche perché da quelle parti ci sono i lupi). Quindi era meglio lasciarmi stare e rispettarmi ».