Da chi ho preso i miei occhi, aiutare i bambini a raccontare la propria storia
Insieme alla casa editrice Carthusia nasce il kit di Fondazione Cariplo per accompagnare bambini e ragazzi con situazioni familiari difficili a ricostruire la propria identità

L'idea del progetto "Da chi ho preso i miei occhi" prende ispirazione dallo strumento del Life Story Book, utilizzato in in Inghilterra per l’ascolto dei bambini e dei ragazzi, per aiutarli a ricostruire i fili della propria storia.
L'origine del progetto
Due anni e mezzo fa quando una famiglia, in carico ai servizi sociali del comune di Rozzano, viene aiutata da un’assistente sociale a raccontare sotto forma di favola il proprio caso di affido. L’assistente sociale è Ornella Faranda, con esperienza pluriennale su affidamento e adozione in Gran Bretagna e lo strumento è il Life Story Book. Lo strumento si rivela subito prezioso ed è allora che Ornella contatta la casa editrice Carthusia, specializzata in letteratura per l'infanzia con un’attenzione particolare ai temi sociali, e propone di riadattare il Life Story Book, grazie anche al contributo dello psicoterapeuta Domenico Barrilà e l’assistente sociale Margherita Gallina. Così nasce il Kit “Da chi ho preso i miei occhi”, sperimentato nell’ambito di Texére, uno dei progetti della terza edizione del bando “Welfare di comunità” di Fondazione Cariplo.
Il kit "Da chi ho preso i miei occhi"
Si tratta di uno strumento per operatori, assistenti sociali, psicologi ed educatori, che ha l’obiettivo di favorire la ritessitura di legami familiari e sociali nel Distretto 6, Pieve Emanuele e nel Distretto 7, Rozzano, della Città Metropolitana di Milano. Il kit contiene una guida rivolta a operatori sociali, educatori e genitori, e tre quaderni personalizzati in relazione a tre fasce d'età, con un unico obiettivo: accompagnare bambini e ragazzi che vivono condizioni familiari difficili, frammentarie o interrotte, a costruire o ritrovare un significato temporaneamente smarrito. Il quaderno potrà aiutare un bambino a riavvicinare un genitore o può essere l’anello di congiunzione tra la famiglia di origine e la famiglia affidataria.
La chiave di volta: il punto di vista dei bambini
L’assistente sociale Martina Travia parla di un vero e proprio cambio di prospettiva del lavoro sociale. “Ci siamo resi conto che strumenti classici come i colloqui individuali o le visite domiciliari non riuscivano a rendere protagonista il bambino.” Finora "Da chi ho preso i miei occhi" è stato sperimentato con circa venti bambini, prevalentemente per affrontare casi di affido e separazioni conflittuali, quando per un minore le emozioni sono tante e difficili da decifrare. Tramite delle domande semplici, il kit li aiuta a incasellare le emozioni e a costruire la propria identità. Si parte dal presente per poi voltarsi indietro e infine proiettarsi nel futuro desiderato.
“Mi chiamo Luca e all’adulto che ho vicino vorrei chiedere di donarmi leggerezza. Sono piccolo, ma la mia valigia può pesare il doppio del mio peso e sarei contento se tu mi potessi aiutare a dividere il carico del mio bagaglio. Stare è uno dei miei verbi preferiti. Stiamo con leggerezza così da poter attraversare tutte le profondità!”
Portare il progetto anche a scuola
È appena partita una sperimentazione anche nelle scuole. Nelle classi, gli insegnanti, prima formati e successivamente supportati dagli operatori Texère, potranno lavorare in gruppo per favorire il delicato passaggio da un ciclo scolastico all’altro, o supportare il ragazzo a scegliere tra le varie opportunità formative,contribuendo a rafforzare la loro identità. Perché ogni bambino ha diritto alla sua storia, alla sua identità e a un po’ di leggerezza.