abbiategrasso

Cure palliative: il racconto di chi ha portato sollievo ai malati Covid-19

Quanti addii detti, quante carezze di commiato. E sotto la tuta protettiva, tante lacrime.

Cure palliative: il racconto di chi ha portato sollievo ai malati Covid-19
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"Siamo stati la voce e le mani di tanti familiari che davano l'addio ai loro cari". Il racconto della palliativista Clarissa Florian, che ha portato sollievo ai malati Covid-19.

 Il racconto della palliativista Clarissa Florian, che ha portato sollievo ai malati Covid-19

C'è grande emozione nelle parole della dottoressa Clarissa Florian, direttrice scientifica dell'Hospice di Abbiategrasso. Quando il "gioco", nei reparti Covid, si è fatto duro, ha scelto di andare in trincea per portare sollievo a chi, purtroppo, non poteva più vincere la sua battaglia. Florian è una palliativista e crede molto in quella che è una vera missione: dare sollievo a chi soffre nelle fasi finali della vita.
E' una che lotta per quello che crede un diritto e che ha subito intuito la sofferenza generata dai sintomi del Covid. Ma da questa esperienza è uscita con più convinzioni di quelle con cui era entrata.
"Inizialmente pensavo al dolore fisico, alle sofferenze respiratorie che affliggevano i casi più gravi - racconta - Il 18 marzo ho iniziato la mia esperienza nell'Equipe coordinata dal dottor Nicola Mumoli, che operava nei cinque reparti Covid dell'ospedale di Magenta. Ho lasciato la sicurezza dell'hospice per un'avventura sconosciuta. Pensavo di essere preparata alla sofferenza e alla morte, nel mio lavoro, purtroppo, sono componenti fisse. E le mie aspettative sono state totalmente stravolte".
Nelle corsie Covid si soffriva sì per la mancanza di respiro, ma c'erano anche stati di agitazione, stati confusionali e grosse sofferenze psicologiche. "Davanti ai miei occhi c'erano pazienti spesso silenziosi o semi addormentati nei caschi, ma comunque capaci di relazionarsi e che di quella relazione avevano un disperato bisogno", ricorda.
E così qualche strappo alla regola di una videochiamata si traduce in 364 conversazioni video, grazie ai tablet: "Un modo per informare la famiglia, che dall'arrivo in ospedale, aveva perso i contatti coi propri cari, ma anche per consentire un saluto, un abbraccio virtuale, una relazione altrimenti negata". Da palliativista la dottoressa si trova a diventare una manager delle emozioni, quelle dei malati, dei pazienti, ma anche le sue.
Perché, forse, davanti alla sofferenza non si è mai preparati, soprattutto in un'emergenza così, che coglie impreparati e stravolge ogni regola, protocollo, consuetudine. "E' un vero trauma non poter assistere un proprio caro che sta morendo – continua – Questa dimensione fa parte del nostro approccio tradizionale al sollievo. Ma col Covid è venuta meno. Mi sono sentita dire da dei figli: “Siate la nostra voce e le nostre mani”, “Date per me una carezza”. Un mio collega, a quel punto mi ha detto: “Nessuno me lo ha mai insegnato”. Eppure lo abbiamo fatto, ci siamo emozionati e abbiamo pianto. Figli che ci dicevano di dare l'addio ai genitori con un “Ti voglio bene”, mogli che chiedevano di dire al marito quanto mancassero loro, nonostante, prima, battibeccassero sempre. Le lacrime appannavano spesso i miei occhiali – confessa la dottoressa – Ed è tutto cominciato per caso".
La prima volta fu per fare un favore a una collega: "Mi chiese di portare un pacchetto con dei ricordi alla madre di un suo amico. Mi dissi che mancava giusto che facessi Maria De Filippi. Quando entrai nella stanza, vidi una donna che sembrava tutto tranne che capace di aprire quel pacchetto. La chiamai e non rispose. Ma guardò l'album con le foto di nozze del figlio e indicò dove mettere i disegni dei nipote, così che potesse ammirarli. Mi si aprì un mondo, e allora capii. Non bastava contrastare il dolore fisico, dovevamo sostenerli anche negli affetti, nelle relazioni, nel far sentire che ci prendevamo cura di loro".
Quanti addii detti, quante carezze di commiato. E sotto la tuta protettiva, tante lacrime.

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