la storia

Tornare in piedi dopo 18 coltellate: «Mio figlio deve avere la mamma»

Quattro anni fa Barbara Andretta subì la brutalità dell’ex compagno: oggi aiuta chi vive nella violenza

Tornare in piedi dopo 18 coltellate: «Mio figlio deve avere la mamma»
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Non poteva più abbracciarlo, farlo giocare, lavarlo, vestirlo, addormentarlo. E doveva tornare a fare tutto questo. E’ la volontà irriducibile di mamma che ha dato la forza a Barbara Adretta di rimettersi in piedi, dopo le 18 coltellate che sembravano la fine. Ma per il suo bambino ce l’ha fatta.

Tornare in piedi dopo 18 coltellate: «Mio figlio deve avere la mamma»

Quattro anni fa l’ex compagno – allora ai domiciliari nella casa dei genitori in via Marco Polo – le aveva chiesto un incontro. Lei aveva accettato, perché ci teneva ad accordagli la possibilità di vedere il loro bambino, che allora aveva solo un anno e mezzo «e aveva bisogno di una mamma e di un papà». Ma sulle scale della palazzina Aler che conducono alle cantine lui l’attendeva con un coltello e pieno di violenza, scaricatale addosso con tanti fendenti. Il più grave dei quali le aveva leso il midollo spinale. Il sangue, il terrore, il dolore, l’impossibilità di muoversi, poi finalmente l’arrivo dei soccorsi. Barbara Andretta ha trascorso tre mesi e tre giorni in ospedale, prima in terapia intensiva, poi in reparto. Il suo bambino solo nelle video chiamate – «non poterlo avere con me in quelle settimane è stato durissimo, un quotidiano star male» – e davanti un futuro pieno di incognite, a partire dalle poche possibilità di tornare in piedi.

La rinascita, il video, i followers

E invece, un anno fa, ecco il video del riscatto lanciato al mondo: con lei che si alza dalla carrozzina e che prova i primi passi. Un filmato diffuso su TikTok con un messaggio – «ritornare a camminare dopo 18 coltellate» – che ha squarciato la corazza di tanti giovani, arrivando dritto ai cuori e aprendo un universo sommerso di sofferenze non dette simili alla sua: migliaia di visualizzazioni e di followers, in molti a raccontarle le loro storie, così vicine alla sua. E così, dal coraggio di mamma, ecco la testimonianza contro la violenza. «Non mi aspettavo di richiamare tutta quell’attenzione – rivela – ma da quel momento ho iniziato a fare altri video sulla mia vicenda e soprattutto a parlare agli altri attraverso dei live: a chi come me ha subito violenza, a chi mi chiede consigli, a chi vive il dubbio che conosco bene tra denunciare e tacere, tra chiedere e provare a farcela da sola. Ragazze, donne, ma anche uomini. Perché la violenza non va solo in una direzione e non va ricordata solo nelle giornate internazionali. La prima volta che il mio ex mi ha fatto del male era la festa della donna, l’8 marzo 2016». Poco più di un anno dopo l’avrebbe quasi uccisa.

Dare quell’aiuto che non ha saputo chiedere

«E in quei mesi io non ho voluto raccontare nulla a nessuno, sbagliando. Andavo al lavoro con i lividi, piangevo. Ma avevo 21 anni ed ero convinta di farcela da sola, di non aver bisogno di nessuno, mi sentivo la forza di chi è giovane e pieno di energia. Invece avrei dovuto chiedere aiuto». Lo stesso che ora offre ai tanti che dopo quel video la contattano.
«E sono contenta di farlo, cerco di spronare e di incoraggiare a raccontare e a chiedere quella mano che salva. Perché chi è violento una volta, lo sarà ancora». Oggi Barbara Andretta è una mamma felice e orgogliosa del suo bambino, adesso 5 anni, che può finalmente accompagnare al parco, far giocare, accudire. «Dal non potermi muovere sono passata alla carrozzina, al treppiedi, alle stampelle e a camminare con un tutore permanente. Neanche i medici ci credevano. La forza l’ho trovata nel desiderio immenso di tornare a fare tante cose con mio figlio, anche se non tutto perché ho comunque un deficit permanente. Non posso correre, ogni tanto devo sedermi, se lo prendo in braccio la schiena va ko e devo continuare a fare esercizi per non perdere la muscolatura. Però sono con lui e questo conta».

La forza del padre e la paura dell’ex

Decisivo per il recupero è stato suo papà: «Mi ha dato ogni giorno tanta forza, ha sempre creduto che ce l’avrei fatta, non mi ha mollata un attimo, mi ha portata fino a qui, mi ha trascinata con determinazione a rimettermi in piedi. Gli devo tutto questo». I segni di quello che successe quattro anni fa restano: «Le cicatrici sul corpo, ma anche l’andatura un po’ claudicante. E la cosa brutta è che la gente ti osserva con occhi giudicanti. Oggi ho imparato a sorridere dei miei difetti e a non curarmi degli sguardi, però il male lo sento lo stesso». E poi c’è il futuro: tra una vita ancora tutta da vivere, a soli 25 anni, e una maturità arrivata in fretta con l’esperienza di dolore e di rinascita affrontata. «Oggi riesco ad aiutare gli altri, con la mia testimonianza e con i consigli, perché quello che mi è successo mi ha resa più forte e capace di riconoscere ora in modo lucido e consapevole la violenza. Ma guardando avanti ho ancora paura». Un timore legato al momento in cui il padre di suo figlio uscirà dal carcere, dove sta scontando la pena di 9 anni per quelle 18 coltellate. «Resto convinta che nonostante quello che sia successo, mio figlio abbia il diritto di avere un papà, di conoscerlo, di vederlo. Non gli negherò questo. Ma allo stesso tempo, mi spaventa. Il mio terrore è che possa ancora fare del male a me, o peggio a mio figlio. Spero che ci lasci vivere e si faccia la sua vita. Resterà sempre il papà e gli permetterò di stare con suo figlio, ma nessuno potrà garantirmi quella protezione sicura dal male di cui avremmo bisogno. E quest’ansia la sento già ora».

Legami e famiglia

Per vincerla oggi Barbara Andretta è impegnata a creare e consolidare legami, quelli che possono salvare: attraverso i live di TikTok, ma anche con momenti di testimonianza e con il supporto dell’associazione Unavi. E con la forza della famiglia: dal papà che la sostiene, alla mamma e alla sorella che le sono vicine, al figlio che rende ogni fatica una sfida da vincere. E quel tatuaggio «Family» voluto a 18 anni, diventa simbolo, allora inconsapevole, di tutto questo: proprio lì, sulla schiena, sopra la cicatrice più profonda e appena scalfito da questa. Un vincolo d’amore grande, molto più del male.

Matteo Garoni

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