La storia

Morto di tubercolosi in guerra? No, usato come cavia dai nazisti

È stato questo il tragico destino del soldato di Magnago Mario Mainini. La sua famiglia lo ha appreso a distanza di quasi 80 anni.

Morto di tubercolosi in guerra? No, usato come cavia dai nazisti
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Morto per malattia in guerra? No, usato come cavia dai nazisti. E' la triste fine del magnaghese Mario Mainini.

Il soldato magnaghese usato come cavia dai nazisti

Classe 1914, Mainini era un soldato di Magnago che combatté sul fronte greco-albanese durante la Seconda Guerra Mondiale, fu deportato in Germania e, purtroppo, non tornò più a casa. Ma, a distanza di quasi 80 anni, sulla sua morte emergono elementi differenti da quelli riportati dai pochi atti dell'epoca fino a poco tempo fa conosciuti. La sua morte è datata 7 marzo 1945, ad Hadamar, un comune dell'Assia che sorge grossomodo a metà strada tra Francoforte e Bonn, ufficialmente per tubercolosi.
La verità è però diversa: le ricerche compiute dai ricercatori Silvia Pascale e Orlando Materassi hanno portato alla luce le atrocità compiute anche su una decina di soldati italiani (ma la lista potrebbe essere tristemente molto più lunga) all'interno del centro di sterminio di Hadamar, un edificio che veniva spacciato per ospedale psichiatrico ma in cui, in realtà, fu uno dei siti utilizzato per perpetrare gli orrori del programma di eutanasia Aktion T-4, che eseguiva sterilizzazioni e omicidi di massa di membri ritenuti "indesiderabili" della società tedesca. I due storici, uniti da storie familiari di internamento, con le loro ricerche hanno scoperto l'esistenza di un documento, uno dei pochi sopravvissuti alla distruzione messa in atto dai nazisti prima della sconfitta nel secondo conflitto bellico planetario, che cambia la storia e ne dà i giusti contorni. Ad Hadamar venivano barbaramente uccisi, con overdose di farmaci (per quella che era definita sperimentazione scientifica), con la malnutrizione e/o in camere a gas anche i soldati italiani che erano stati smistati in uno dei campi di concentramento della zona.

Nato il 13 marzo 1914, finì in Germania come Imi

E' stato questo, quindi, il triste destino che ha segnato la fine di Mario, un uomo che da lì a qualche giorno avrebbe compiuto 31 anni di età. Magnaghese doc, nato il 13 marzo 1914, figlio di Carlo Mainini, terzo di tre figli; prima di lui erano arrivati Carlotta, nel 1905, poi emigrata in Brasile, e Antonio, del 1911, morto nel 1940 per le complicanze cardiache dovute alla Spagnola. Prima di indossare la divisa militare sull'altra sponda dell'Adriatico, Mario aveva lavorato in una officina meccanica e dava una mano nei campi al padre, contadino. Poi lo scoppio della guerra, la Grecia con il 64° reggimento fanteria e l'8 settembre 1943: Badoglio firma l'armistizio con gli Alleati ma i nazisti catturano e deportano in Germania più di 800mila soldati italiani, ufficialmente in qualità di "Internati militari italiani", classificazione che permetterà ai carcerieri tedeschi di aggirare la Convenzione di Ginevra. Mario raggiunge la terra degli ex compagni dell'Asse già nel settembre 1943 e viene spedito a Limburg, a pochi passi dal tristemente noto "ospedale" di Hadamar.

"Il certificato di morte riporta una causa fittizia"

Silvia Pascale, che con Materassi sta lavorando su questa parte della storia da circa un lustro, spiega:

"Su Mainini sono stati rinvenuti alcuni documenti, tra cui il certificato di morte che riporta tubercolosi polmonare quale causa del decesso, che però è assolutamente errata. Era però una prassi comune utilizzare cause fittizie per giustificare quello che realmente accadeva, c'erano impiegate assunte proprio per questo tipo di lavoro. Anche la data non dovrebbe essere quella reale; si ipotizza che possa essere successo l'1 marzo. Il suo corpo è stato poi gettato insieme a tanti altri in una fossa comune, coperta da alcune lapidi in cima a una collinetta". 

In paese non tornò mai, ma la sua memoria è viva

Mario lavorava in una delle fabbriche tedesche che sostenevano lo sforzo bellico. Poi probabilmente si è ammalato ed è stato considerato un peso per la cinica organizzazione nazista, purtroppo poco prima che arrivassero gli Americani.
A Magnago, così, il soldato Mario non è mai tornato ma è rimasto nella memoria del paese: la sua foto e il suo nome sono sulla tomba di famiglia, al cimitero di Magnago, e riferimenti a lui compaiono anche all'interno della chiesetta dello stesso camposanto e in "Storie e memorie di Magnago e Bienate", un volume pubblicato nel 2003 dalla Pro Loco del paese. Il parente più prossimo ancora in vita è il dottor Gaetano Peroni, che nel 1960 sposò Rosita Mainini, figlia di Antonio e quindi nipote di Mario. Farmacista e magnaghese doc, il quasi 89enne è un appassionato di storia ma che, ovviamente, non ha vissuto in prima persona la notizia della morte del congiunto acquisito, pur conoscendone i dettagli e avendone approfondito gli aspetti più intimi. Amante delle vicissitudini della seconda guerra mondiale, lo "zio Nino", classe 1935, ha però provato sulla sua pelle l'occupazione nazista a Magnago.

La guarnigione tedesca nella scuola elementare

Spiega Peroni:

"All'interno della scuola elementare si era installata una guarnigione tedesca. Dopo l'Armistizio abbiamo sofferto molto, anche noi che eravamo piccoli e che per studiare dovevamo andare a 'scuola' nelle osterie del paese. Non abbiamo mai avuto un grande amore per la Germania e anche per questo non ho mai voluto recarmi nei luoghi dove era stato deportato Mario".

La verità ristabilita a quasi 80 anni di distanza

Ora questa nuova notizia, che, comprensibilmente, acuisce il dolore per un periodo triste della vita di una famiglia oltre che di una intera Nazione. Giusto però anche che la Storia ristabilisca la verità, dia pace alle anime delle persone barbaramente uccise e funga da insegnamento per le generazioni future.

 

Servizio a cura di Giovanni Ferrario. Si ringrazia per la collaborazione Gabriella Persiani

 

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Mario Mainini nella foto sulla sua tomba

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La tomba del soldato magnaghese

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Gaetano Peroni

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