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Milano 2035: l’abitare giovanile collaborativo a Milano

Risposte concrete a un problema grande come una casa

Milano 2035: l’abitare giovanile collaborativo a Milano
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"Non puoi fare questo lavoro se non sei ottimista. E quindi dico che oggi a Milano, nel dialogo con le istituzioni e con gli stakeholder pubblici e privati che si occupano di politiche abitative, tutti sanno di cosa si parla quando si parla di “Abitare Giovanile Collaborativo”, però in un certo senso siamo ancora al punto di partenza: i giovani a Milano continuano a essere una fascia assolutamente residuale negli interventi pubblici sulla casa" così parla Valentina La Terza la project manager di Milano 2035, uno dei progetti del programma “Welfare di comunità” di Fondazione Cariplo.

Il progetto Milano 2035

Milano 2035, nei quattro anni di progetto, ha lavorato per ampliare nell’area della Città Metropolitana milanese l’offerta di case per i giovani, offrendo appartamenti a prezzi accessibili. E per creare reti di solidarietà sociale, realizzando un nuovo modello di abitare urbano basato sulla condivisione di spazi e tempi all’interno dei condomini e dei quartieri.

La rete di Milano 2035 (a cui hanno partecipato, tra gli altri, Fondazione Dar, Cooperativa Dar=Casa, La Cordata scs, MeglioMilano, Acli milanesi, CSV Milano, Bicocca – e Politecnico di Milano) ha realizzato 9 nuovi progetti di abitare collaborativo come Carbonia 3 e Grigioni 2035 e creato 219 nuovi posti letto. In Milano 2035 sono stati integrati e perfezionati modelli abitativi sperimentati nel tempo dai partner di progetto come la formula “Prendi in Casa ”, un’iniziativa di coabitazione intergenerazionale tra giovani e anziani e “Ospitalità Solidale”, che ha recuperato e destinato ai giovani alloggi sottosoglia in due quartieri di edilizia popolare. Sono stati creati tre “Touch Point”, sportelli di orientamento e promozione della cultura dell’abitare collaborativo e di informazione sui servizi innovativi offerti da Milano 2035: l’offerta abitativa, il reperimento gratuito di mobili, le occasioni di socialità, di scambio di competenze, di volontariato presenti sul territorio. Il Touch Point della Barona è diventato anche un “Repair Café”, un laboratorio di attrezzi dove i volontari della rete danno nuova vita ai mobili regalati ma che può essere utilizzato anche dagli abitanti del quartiere o da chi lo desidera per sistemare i propri oggetti o arredi.

Valentina La Terza ha ripercorso le fasi di Milano 2035 e ha raccontato quali sono i suoi orizzonti ...

Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali del vostro territorio?

Un problema cruciale a Milano, quello del costo della casa per i giovani. Il mercato immobiliare milanese cinque anni fa e a maggior ragione ora, era inaccessibile per i giovani che desideravano iniziare un percorso di vita autonomo o che si trasferivano da un’altra città per lavorare o studiare. La crescita del costo della casa era particolarmente elevata per gli appartamenti di piccolo taglio e per le stanze, ovvero proprio quelli più in target giovani. Tra l’altro Milano, rispetto al resto d’Italia, è una città dove si resta più a lungo single. In questo scenario, c’era un tema scoperto di politiche pubbliche abitative, che rispondevano soprattutto ai bisogni di famiglie e nuclei abitativi numerosi, a progettualità lunghe e nei quali i più giovani erano del tutto assenti. L’idea di fondo era e rimane che “i giovani in qualche modo se la cavano”.

Quello che abbiamo fatto è stato costruire un partenariato pubblico privato e un modello di intervento abitativo, quello dell’Abitare Collaborativo, per mettere insieme le sperimentazioni che già esistevano, rafforzarle e aumentare l’offerta di appartamenti. La formula di alloggio ma anche di attivazione degli abitanti non è sempre uguale: a “Carbonia 3”, a Quarto Oggiaro, accanto a famiglie in emergenza abitativa, sono stati inseriti giovani studenti o lavoratori precari che abitano monolocali a canone calmierato e partecipano attivamente alla vita del caseggiato, per esempio organizzando attività rivolte ai bambini. A “Frattini Home” la Cooperativa Cordata offre posti letto e camere singole a canoni accessibili ai giovani disponibili a mettersi in gioco in attività rivolte al quartiere, come la cura degli spazi comuni o in iniziative di animazione dei cortili.

I ragazzi sono sempre accompagnati nel loro percorso di autonomia e nello sviluppo delle relazioni con gli altri. Le persone che arrivano da fuori Milano sono felici ovviamente di trovare una casa a un costo basso, ma anche di poter sviluppare relazioni con gli abitanti e con il quartiere. Anche nel caso di “Prendi in casa” certo c’è il tema prezzo che è centrale, ma per i giovani e per le famiglie che scelgono questa formula c’è un contesto più protetto dove sviluppare l’autonomia e che in alcuni casi trovano davvero un nonno o una nonna. In qualche modo il Covid ha messo in luce il valore dell’abitare collaborativo, perché dove c’era già predisposizione alla collaborazione è stato più facile affrontare la pandemia e organizzarsi: esisteva già una struttura e nessuno si è sentito abbandonato.

E ora, 5 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi?

Anche se il problema casa per i giovani rimane, ora esiste una cornice di riflessione che prima non c’era: si conosce il bisogno e anche come intervenire. Si è definito un modello di Abitare Collaborativo per i giovani, un capitale di welfare di comunità di persone che sanno che cosa fare e come farlo, un modello “cantierabile” e in questo siamo stati pionieri. Poi naturalmente si è ampliata l’offerta e i posti letto creati rimangono.

Rimane il fatto che siamo ancora al tema iniziale, i giovani continuano a non essere un target di investimento delle politiche pubbliche abitative ed è una grave perdita: Milano ha tanti giovani talenti ma non è detto che abbiano anche capacità di spesa e a lungo andare la città rischia di svuotarsi di questi talenti.

Tra tutte le innovazioni di Milano 2035, qual è stata la più significativa?

Io credo proprio questo: la creazione e la messa a punto di un modello di intervento. Se vai a Carbonia ti accorgi immediatamente che i giovani che abitano lì sono una risorsa importantissima per le famiglie in emergenza abitativa del caseggiato. L’idea di inserire giovani in contesti fragili, o in alcuni casi di relazioni complicate e a volte conflittuali, si è rivelata vincente. Perché i giovani sono per loro natura più flessibili e più aperti e in un’ottica di rigenerazione sono fondamentali.

Che cosa è accaduto che non era stato previsto?

Il Covid naturalmente. Alcuni cantieri si sono fermati, però come ho detto prima allo stesso tempo ha confermato che l’Abitare Collaborativo è una risorsa per il benessere delle persone. Un altro elemento non previsto è stata la scarsa partecipazione di alcuni attori fondamentali, a partire da quelli istituzionali ma non solo, anche quelli che inizialmente avevano dato la loro adesione hanno faticato a trovare un ruolo.

Quali sono state le principali difficoltà?

Quella di interloquire con alcuni attori, appunto, in particolare i proprietari immobiliari. E poi ci siamo resi conto che è davvero molto difficile suscitare un sentimento verso i giovani milanesi che non trovano una casa e questo si è riflettuto anche nell’attività di fundraising. E se non scatta l’emotività non scatta nemmeno l’attivazione.

C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che Milano 2035 ha generato?

Forse quella dei ragazzi che abitano a Carbonia. Anche se è uno stabile recente è costruito come una vecchia corte, le 33 famiglie in emergenza abitativa vivono in mono e bilocali e i bambini per forza di cose passano molto tempo nel cortile e i ragazzi organizzano tantissime attività per loro, molte sono nate proprio dalle loro proposte.

Che cosa resta sul territorio che prima non c’era?

Delle isole felici a Milano e in provincia. Perché sono felici veramente, non per modo di dire: sono alloggi confortevoli e curati, i ragazzi pagano poco e avere questa situazione abitativa dignitosa ha generato e messo in campo molta generosità. Anche nei contesti più difficili i quartieri grazie ai giovani sono migliorati. Nei condomini di “Ospitalità Solidale” sia a Niguarda che al Turchino i ragazzi hanno riattivato e riqualificato spazi abbandonati, come la portineria che ora è diventata uno spazio dove ritrovarsi, c’è anche una libreria comune. E ovviamente rimangono tanti posti letto che continueranno almeno per un decennio, alloggi con prezzi inferiori a quelli di mercato dove i giovani vengono accolti e seguiti.

Quali sono i progetti futuri a cui state pensando?

Continuiamo a lavorare per creare nuova offerta e proseguiamo nella nostra attività di advocacy non solo a livello italiano ma anche europeo, questa è la nostra battaglia. Abbiamo preso contatti con associazioni che hanno progetti simili ai nostri e che sono anche più avanti di noi per collaborare, per esempio in Francia esiste un grande progetto di ospitalità solidale che si chiama Kaps. Abbiamo anche già avuto un’audizione in Commissione Europea. Stiamo creando consapevolezza e tutte le politiche nascono sempre da qui. Anche perché, oltre ai prezzi elevati, è cambiato il modello culturale: non è più così strano che in una grande città anche a 35 anni una persona viva sola e quindi tutto il discorso abitativo che si basava sul modello “vado fuori di casa e mi sposo” non regge più.

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