Le donne e la mafia al centro dell'ultimo incontro dell'Istituto Torno a Castano
L’istituto “G. Torno” di Castano Primo ha detto "no" alla violenza sulle donne con un incontro sull'educazione che quest'ultime hanno e hanno avuto all'interno delle famiglie mafiose
L’istituto “G. Torno” di Castano Primo ha detto "no" alla violenza sulle donne con un incontro sull'educazione che quest'ultime hanno e hanno avuto all'interno delle famiglie mafiose.
Una riflessione curata da Monia Colaci
A guidare gli studenti dell’istituto castanese nella riflessione nei giorni scorsi ci ha pensato Monia Colaci, docente di Storia e filosofia e membro attivo dell'Istituto per la Storia dell’età contemporanea) – che dal 1973 raccoglie, conserva e valorizza fonti e documenti sulla Storia e sulla resistenza del movimento operaio – e di Libera – che dal 1995 contrasta le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e coloro che li alimentano in nome della giustizia sociale e della ricerca di verità, della tutela dei diritti e di una politica trasparente, di una legalità democratica e di una memoria viva e condivisa.
Il focus sulla conferenza stampa
La conferenza tenuta dalla Colaci, che ha saputo destare vivo e sincero interesse nei giovani spettatori del “G. Torno”, costituisce solo la prima tappa di un percorso più ampio e articolato, intitolato Una vita contro la mafia. Storia dell’antimafia e della cultura mafiosa dagli anni Novanta del Novecento ad oggi. Coordinato dalla prof.ssa Ornella Modolo, esso non ha il mero scopo di trasmettere alle nuove generazioni il significato della legalità e il valore della libertà e della democrazia, ma vuole anche insegnare a distinguere le diverse tipologie di mafia che dagli anni Novanta del Novecento ad oggi ammorbano il territorio nazionale ed internazionale, proponendosi di far conoscere i personaggi, le istituzioni e le associazioni operanti nella lotta alla criminalità organizzata e, insieme, diffondendo – per denunciarla – la condizione della donna all’interno di un sistema mafioso che genera morte e che è tuttavia assai duro a morire.
Il caso di Lea Garofalo
Storicamente costretta ad una silenziosa subordinazione, nelle famiglie mafiose la figura femminile ha ancora oggi il fondamentale ruolo di mantenere l’ordine patriarcale e di trasmettere i valori di lealtà e discrezione che permettono alla criminalità organizzata di esistere e proliferare. Seppur non direttamente coinvolte nell’attività criminale, le donne dei clan mafiosi sono da sempre chiamate a svolgere un duplice compito: preservare l’onore della famiglia attraverso la gestione delle relazioni sociali e, al contempo, educare i figli secondo quei principi che possano perpetuare il feroce ciclo di violenza e illegalità. Si tratta di schemi rigidissimi, che nel tempo alcune donne hanno però cominciato a sfidare nel disperato tentativo di divincolarsi dalle soffocanti catene di un sistema del quale – loro malgrado – sono parte integrante. Un esempio emblematico è in questo senso costituito dal caso di Lea Garofalo, nel cui ricordo si è infatti concluso l’intervento tenuto dalla dott.ssa Coalci nella mattinata di lunedì 25 novembre. Figlia di un boss della ’Ndrangheta, nel 2009 Lea Garofalo pagò con il sangue la coraggiosa scelta di disobbedire ai dettami del potere mafioso e di collaborare con la giustizia, nel desiderio di costruire per sé e per sua figlia una vita diversa e onesta.