Omicidio Ravasio, torna a parlare l'amante della mantide: "Dipingeva Fabio come un mostro, credetti alle sue bugie e ci furono contatti per assoldare sicari"
Nuovi esami degli imputati nell'ambito del processo che punta a fare luce sull'uccisione avvenuta il 9 agosto 2024 tra Casorezzo e Parabiago, teatro dell'incidente fatale che sarebbe stato orchestrato dalla compagna della vittima Fabio, Adilma Pereira Carneiro, per scopi legati all'eredità. Oltre a Massimo Ferretti, è stata la volta di uno dei pali del tragico sinistro, Mirko Piazza, coinvolto, a suo dire, nel piano omicida in cambio di un appartamento

L'omicidio di Fabio Ravasio a Parabiago. È tornato in aula quest'oggi, lunedì 7 luglio, il processo che punta a fare luce sull'uccisione avvenuta il 9 agosto 2024 tra Casorezzo e Parabiago, teatro dell'incidente orchestrato dalla compagna Adilma Pereira Carneiro per scopi legati all'eredità. Un'udienza scandita dall'esame di due degli otto imputati. A rendere l'esame è stato l'amante della brasiliana Massimo Ferretti, che ha parlato diffusamente della volontà della donna di far fuori il compagno, anche attraverso la ricerca di potenziali sicari, al di fuori della banda che si è poi "costituita" nel corso del tempo per pianificare e commettere l'omicidio. Banda che è stata associata attraverso l'illustrazione di una sorta di vignetta persino al film Fast & furious, con l'accostamento dei volti dei protagonisti a quelli di coloro che sono poi finiti alla sbarra. Ma a raccontare la sua versione è stato anche Mirko Piazza, uno dei pali del tragico sinistro, a cui la mantide avrebbe prima chiesto di ristrutturare la cascina parabiaghese e poi, in un secondo momento, di partecipare al delitto. La ricompensa? Un appartamento.
Fabio Ravasio, vittima dell'omicidio del 9 agosto 2024
L'udienza si è aperta con l'audizione protetta di uno dei figli della brasiliana. Il giovanissimo ha spiegato di aver appreso al bar la volontà di far fuori Ravasio ma che a parlare era stato Massimo Ferretti, gestore del locale parabiaghese e amante della brasiliana, insieme a un avventore che frequentava spesso l'esercizio.
"Non ho mai sentito parlare mia madre del piano omicida. Ho sentito quelle (brutte, ndr) cose al bar, dove si tenevano riunioni con Massimo e un altro signore che frequentava il locale. Insieme parlavano del fatto di coinvolgere un tossico oppure un marocchino per uccidere mio papà".
Le ulteriori confessioni
Ma non è tutto, perché il minore ha anche aggiunto che "Massimo odiava mio padre (quello non biologico ma de facto, ossia la vittima dell'omicidio Ravasio, ndr). E faceva di tutto per conquistare mia mamma. Tacchi, vestiti, le comprava. Era geloso di lei. Quando uscivo con lui, andavo al supermercato, diceva che voleva menare mio padre. Racconto questo perché sinceramente capivo che Massimo non voleva mio padre. Massimo mi disse che Fabio aveva il cancro. Pensavo che fosse uno scherzo. Me l'ha detto sorridendo".
Spazio alla testimonianza di Ferretti
Proprio Ferretti è stato poi protagonista dell'esame svolto nell'aula Falcone e Borsellino in mattinata.
"Non sopportava più quel povero uomo di Fabio e lo descriveva come una persona malefica, dicendogliene di cotte e di crude. Era diventata un'ossessione, quel leitmotiv di lei che non lo sopportava più e lo voleva fare fuori" ha spiegato in prima battuta l'imputato.
"Credevo alle bugie della mantide, ci furono dei contatti per assoldare un sicario"
"Credevo a tutte le sue bugie, perché ero un deficiente, ero confuso e succube di lei, guardavo solamente lei - ha continuato Ferretti -. Lei mi disse che aveva una polizza sulla vita di Fabio dove lei era beneficiaria. In generale, tutti sapevano tutto dell'omicidio. In particolare, lei mi chiese di partecipare al piano quando con molta insistenza mi mandò da una persona, Antonio De Simone, a chiedergli se conoscesse qualcuno per commettere il fatto. Andai da lui verso fine giugno inizio luglio. Lui si arrabbiò con me, mi diede uno schiaffo e me ne andai. Si parlava di una cifra compresa tra i 5 e i 10mila euro. Quando non trovò più nessuno Blanco venne incaricato di trovare qualcuno per aiutarla in questi propositi, stavolta per una cifra tra i 60 e i 90mila euro. Un possibile killer, anche di più, erano stati identificati, non so quali soggetti. Si trattava di tre o quattro soggetti su Milano. Il 12 luglio, poi, pure Fabio Lavezzo (un altro palo dell'omicidio, ndr) si informò ma non so da chi ma il prezzo chiesto era troppo alto. Insomma la Pereira continuava a chiedere se ci fosse qualcuno.... Ne parlò anche con Lavezzo. Ne parlammo io, lei, Lavezzo e Ariane, che disse bisognava cercare dagli zingari di Magenta. Non so se fossero poi andati effettivamente a reperirli".
Il siparietto con Ariane
Sempre Ferretti ha spiegato che anche la fidanzata di Lavezzo, la figlia della brasiliana Ariane, aveva ipotizzato di trovare un sicario e individuato come luogo il campo rom che insiste sul territorio magentino. Lei, presente in aula come auditore, ha sbottato e inveito contro l'imputato, per poi essere identificata dai Carabinieri e accompagnata all'uscita.
Il tema dei riti
Altro tema emerso è stato quello dei riti che vengono associati ad Adilma. In aula sono state mostrate le immagini di due santoni che vivono in Brasile, ai quali la mantide si ispirava. Potrebbe essere stato in questo ambito che è scaturita la data dell'omicidio e il significato stesso. Cosa che Ferretti, come ha raccontato il suo avvocato Debora Piazza (in copertina), ha vissuto sulla propria pelle:
"Personalmente arrivavo da un periodo nel quale mi stavo per separare e Adilma era gelosa di mia moglie. Il 22 luglio con lei, Lavezzo, Ariane e Trifone (marito della brasiliana, anch'egli imputato, ndr) andammo sul Ticino. Ci fece entrare in costume nella corrente e ci buttò addosso la farina lavandoci. Secondo lei avevo qualche malocchio che mi aveva indirizzato mia moglie", ha concluso l'imputato.
L'accostamento con la copertina del film Fast & furious
In merito ai ruoli di questa che può essere ritenuta una vera e propria banda, durante la testimonianza di Ferretti è spuntato in aula anche una sorta di plastico che ritrae i protagonisti del film Fast & furious, ai cui nomi originali i complici della mantide avevano sostituito i loro.
L'esame di Mirko Piazza, uno dei due pali dell'investimento fatale
La seconda parte dell'udienza si è caratterizzata per l'esame del parabiaghese Mirko Piazza, uno degli otto imputati, che viene ritenuto uno dei pali del tragico investimento.
"Adilma mi chiese di ristrutturare la cascina in cambio di un appartamento. Poi mi disse che per averlo avrei dovuto partecipare al piano"
"L'omicidio è stato ideato da Adilma - ha esordito Piazza rispondendo alle domande del pm - La prima volta che mi parlò della possibilità di uccidere Ravasio? All'inizio erano solo chiacchiere al bar. Poi venni chiamato per andare a casa della donna. Adi mi aveva detto che non sopportava più Ravasio. Erano delle voci, ma mi chiese di partecipare a questo progetto la prima volta a maggio. Non le dissi niente, perché pensavo che era uno scherzo, io le dissi di no. C'era di mezzo anche una questione patrimoniale per via del conto del marito. Puntava a impossessarsi dei beni di quest'ultimo. Più avanti saltò fuori che lei mi propose un appartamento nella cascina di San Lorenzo che doveva essere ristrutturare. Ero convinto che avrei dovuto dare una mano per ristrutturare la cascina, imbiancare. Inizialmente lei mi promise un appartamento in cambio di mettere a posto la cascina. Poi, per avere sempre quella casa, mi chiese di prendere parte al piano omicida. Circa una settimana prima dell'omicidio, mi contattò chiedendo di andare a casa sua. Ci disse il motivo per cui lo voleva uccidere, e accettammo. In quell'occasione mi promise l'abitazione. Eravamo presenti io, Ferretti, Pereira e Trifone. Si trattava di una cascina da ristrutturare con dei locali ampi. Io ero in difficoltà anche solo a pagare l'affitto dove mi trovavo. E così ci vedemmo poche ore prima del fatto, al pomeriggio. Accettammo tutti di partecipare. Cominciammo a parlare del modo in cui doveva essere ucciso Ravasio al bar, ma non eravamo sempre gli stessi. Io nel frattempo stavo lavorando. Dopodiché parlammo del modo in cui uccidere Fabio. All'inizio lei non aveva una modalità di esecuzione precisa rispetto a questo omicidio. Mi accennò che non poteva andare avanti con la ristrutturazione perché aveva bisogno di soldi, visto il blocco di un conto corrente del marito. La mattina facevano/facevamo colazione, si iniziava già a cercare di capire i ruoli. Non era ben definita la cosa. Non ne abbiamo parlato fino al giorno prima. Ci siamo ritrovati un paio di volte. Non c'era stato alcun sopralluogo. Ero andato con Massi a fare delle commissioni. Ero confuso, agitato e stanco. Si parlava del punto in cui si doveva svolgere l'incidente. Adilma, Ferretti, io ed Igor. Lavezzo? Non ricordo. Si parlò dei ruoli, chi doveva fare il palo, chi doveva investire. Gli ordini arrivavano da Adilma, che buttava lì la cosa chiedendoci se volessimo farlo o meno. Mi chiese di investire Ravasio e allora le dissi che non potevo fare una cosa del genere".
Il modus operandi dell'omicidio
Come si è sviluppato il progetto? Come sono stati assegnati i compiti?
"Ci furono tre incontri: uno a casa di Adilma e gli altri al bar - ha continuato Piazza - Non sopportava più il marito, e c'erano altri motivi monetari. E ci chiese di collaborare alla sua uccisione. Mi chiese di ucciderlo con la macchina a casa sua il giorno prima dell'omicidio, nel pomeriggio. Erano presenti Ferretti, Igor, la Pereira e Trifone. L'8 agosto andammo da lei per discutere di come si doveva svolgere il finto incidente. E ci assegnò dei ruoli. A me chiese di guidare, ma io non volevo quasi più avere niente a che fare, sentendomi dire questa cosa e avendo perso i genitori, non avrei mai potuto fare una cosa simile. E allora lei lo chiese a suo figlio, ne parlò privatamente. Igor rimase spiazzato anche lui. Che io ricordi, disse un sì a fatica. Vidi partire la macchina e alla guida c'era Trifone, non so chi ha guidato al momento dell'urto. Non chiesi più nulla. A quel punto io avrei dovuto fare il palo con Lavezzo, seduto in un punto preciso del parco di Casorezzo, ma poi mi spostai. Lavezzo doveva chiudere la strada nell'eventuale passaggio di Ravasio. Si parlò della modalità, la macchina sarebbe dovuta uscire dal maneggio prendendolo da dietro, poi non so come sia andata. Adilma voleva utilizzare un'altra macchina ma non fu possibile. C'era stata l'ipotesi di usare un veicolo rubato. Era stato incaricato Blanco di cercare una macchina. Sapevo che c'era la possibilità ma non è andata in porto. Qualcuno aveva chiesto 2mila euro, che la Pereira non aveva. Era ventilata anche l'idea di incaricare Blanco di trovare qualcuno per fare fuori Ravasio. Una ricerca che si intensificò fino ad arrivare ai giorni antecedenti al fatto. Ricerca che poi non andò in porto. A me venivano dette le cose all'ultimo momento. Vidi passare una bicicletta, dissi che stava transitando una bici di colore nero e verde. Ferretti con numero di Fuhrer, mi chiamò dicendo di aspettare perché Ravasio era in ritardo nel transito nel punto dell'omicidio. Dopo un paio di volte che fece avanti e indietro, ci mise un po', si fermò e mi disse 'Mirko, sali'. Lavezzo mi disse 'Sali che andiamo'. Non vide passare nessuno. All'inizio di via Vela passò Adilma con una macchina bianca provenendo dal maneggio. Io e Fabio andammo via. Poi subentrò il problema di far sparire la Opel corsa, c'era preoccupazione per questa cosa. Pereira aveva il pensiero di come far sparire il mezzo usato per l'uccisione. Abbiamo tolto tutto quello che c'era in garage. Adilma mi chiese infatti un aiuto per far sparire la macchina. Venni anche a sapere da Ferretti che i riti avevano 'stabilito' la data dell'omicidio. Mi chiese se sapevo se funzionassero le telecamere. Ma io non ero a conoscenza di questa informazione".
Il commento dell'avvocato Crespi
"Ora sono a fare le mie scuse a tutti quanti", ha concluso Piazza. Così ha quindi inquadrato il contesto dell'accaduto il suo avvocato difensore, Graziella Crespi:
"Il mio assistito è una persona fragile, orfana, abituata a stare da sola. Non aveva lavoro né una casa. Il suo unico riferimento erano Ferretti e la sua famiglia, quindi gli unici momenti di socialità che si creavano attorno al bar del Ferretti stesso. La domanda della difesa chiarisce il perché sia stato inglobato in questo progetto, che nonostante le difficoltà e le contraddizioni ha fatto emergere quello che è il ritratto del personaggio".