Giulio Ravizza e il libro sul museo che conserva le opere proibite
Un vero e proprio "Louvre nel deserto". E' ambientato lì, nel deserto dell'Uzbekistan, il romanzo incentrato su Igor V. Savitsky, che portò in salvo oltre 80mila capolavori dalla censura sovietica

Cala il sipario sul viaggio lungo la Via della Seta, ma l'aereo è in overbooking. La sosta diventa obbligatoria e prepara il terreno per la scoperta di un vero e proprio scrigno. Contiene capolavori cubisti, futuristi, suprematisti e costruttivisti degli anni '20 e 30. Tutte opere proibite, quelle che Giulio Ravizza, 40 anni, già responsabile marketing di importanti multinazionali quali Ebay e Meta ed ora director and brand digital and media per Eolo, ha trovato di fronte a sé quando ha messo piede non senza sorpresa nel Museo di Nukus, capitale della Repubblica desertica del Karakalpakstan, in Uzbekistan.
La copertina del libro "Anche se proibito" che porta la firma di Giulio Ravizza
Una storie incredibile di opere nascoste
Dietro l'incredibile storia di queste opere nascoste, che hanno poi ispirato il titolo del libro che Giulio ha appena dato alle stampe per i tipi di Bookabook editore), «Anche se proibito» appunto, si celano un nome e un cognome. Quelli di Igor Vitalyevich Savitsky, che è riuscito nell'impresa di dare vita a una delle più grandi collezioni al mondo di avanguardie. Dal 1966 al 1984, fu proprio lui a rendersi protagonista delle opere di convincimento nei confronti delle vedove di pittori repressi da Stalin, che alla fine gli cedettero proprio i quadri che portava
no la firma di questi ultimi.L'origine della raccolta realizzata dal protagonista del libro
La molla che ha spinto questo eroe a portare in salvo delle perle simili, ha spiegato l'autore del libro, è scattata quando «nel 1919, Savitsky, che aveva quattro anni, vide un gruppo di rivoluzionari bolscevichi incendiare la maestosa dacia dei genitori, raffinati collezionisti di avanguardie». Da lì, ha continuato, «ne è scaturito un disturbo ossessivo-compulsivo che lo portò quindi a salvare opere d’arte come tentativo disperato di spegnere l’incendio della sua casa d’infanzia».
Le caratteristiche del romanzo
Il romanzo di Ravizza ci porta dunque alla scoperta di una pagina inedita della storia mondiale e prova a decifrare i codici del DNA di un personaggio tanto affascinante e che lui stesso non avrebbe mai scoperto senza quel «cambio di programma» al termine del proprio viaggio di piacere. «Ho perso a pari e dispari con il mio compagno di viaggio. Una sconfitta che si è subito trasformata in opportunità. Un albergatore, una volta arrivato nel Paese uzbeko, mi disse che potevo visitare laboratori abbandonati per armi batteriologiche, il mare di Aral (che è ormai prosciugato) e poi... il museo. Scelsi quell'oasi nel deserto, quel Louvre poco esplorato ma molto esplorabile. Mi trovai lì da solo, con una dipendente del museo chiamata ad accendermi e spegnermi le luci delle stanze che ospitano 81mila opere artistiche».
La storia di Savitsky
Nato nell’aristocrazia zarista a Kiev alle soglie della Rivoluzione d’Ottobre, Savitsky affronta la fine dell’impero di Nicola II e l’affermarsi del comunismo. Costretto a dimenticare i lussi del passato, cresce in clandestinità coltivando segretamente il proprio amore per l’arte. Tutto questo fino al 1934, quando fu stabilito che ogni opera avrebbe dovuto aderire allo stile del realismo socialista: una pittura-réclame di leader radiosi, inaugurazioni di fabbriche e working class heroes. Alcuni pittori fuggirono all’estero, altri si piegarono agli ordini della propaganda e altri ancora continuarono a dipingere liberamente. Su questi ultimi si abbatté la furia di Stalin e, più tardi, l’ossessione di Savitsky fu di salvare i loro lavori. Un lavoro originale che vide accostare il nome di Savitksy a quello di Marinika Babanazarova, che curò il Museo di Nukus per trent'anni.
L'accostamento con la Russia di oggi
Inevitabile è l’accostamento alla Russia odierna: «Credo che siamo di fronte a due propagande, quella degli altri, ovvero della Russia, da cui è facile tenere le distanze. E poi c'è quella che ci facciamo in casa, cucita su misura per noi: è da questa che è più complesso liberarsi», ha concluso Giulio.