Spettacolo dal vivo, anche i Legnanesi chiedono nuove regole per una vera ripartenza
Enrico Barlocco, direttore di produzione della celebre compagnia dialettale: «Il teatro è un luogo sicuro e il limite dei 200 spettatori è assurdo».
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Spettacolo dal vivo, anche i Legnanesi chiedono nuove regole per una vera ripartenza del settore, perché «Il teatro è un luogo sicuro e il limite dei 200 spettatori è assurdo».
Spettacolo dal vivo, anche i Legnanesi a Bauli in piazza
A parlare così è Enrico Barlocco, direttore di produzione della celebre compagnia teatrale dialettale, che sabato 10 ottobre 2020 ha partecipato a Bauli in piazza (nella foto di copertina), flash mob dei lavoratori dello spettacolo in piazza Duomo a Milano. Con lui anche Danilo Parini, storico interprete nel ruolo del prevosto don Pietro Cazzaniga (don Pedar). Milletrecento tra attori, registi, coreografi, tecnici, manager, promoter (solo per citare alcune delle professionalità rappresentante, ma l’elenco sarebbe ancora lungo) si sono radunati sotto la Madonnina vestiti di nero: 500 di loro si sono schierati davanti ad altrettanti bauli, che fino a qualche mese fa contenevano la loro attrezzatura (luci, amplificatori, strumenti, casse audio eccetera) e che ora sono vuoti per la mancanza di lavoro, per inscenare una protesta silenziosa, il cui unico suono proveniva dal battito delle mani.
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«Si sta dimenticando un mondo che dà lavoro a 600mila persone»
In tutta Italia sono più di 600mila i lavoratori dello spettacolo che a causa del Coronavirus non lavorano dallo scorso marzo. A maggio era stata lanciata una petizione indirizzata al ministero per i Beni e le attività culturali per salvare il settore dello spettacolo dal vivo: «All’arte non basta lo streaming: lo streaming è solo un ruscello, l’arte è un fiume in piena» scrivevano i promotori dell’iniziativa».
«Mi sembrava doveroso far sentire la nostra voce, perché si sta dimenticando un mondo che dà lavoro a molte persone - spiega Barlocco - Servono regole che permettano al settore di ripartire in sicurezza e in maniera economicamente sostenibile. Nessuno vuole sminuire la gravità della situazione dal punto di vista sanitario, ma la mia impressione è che ci siano incongruenze molto forti Non capisco quale sia il nesso logico che fa dire serata a teatro uguale contagio sicuro. Una volta che uno spettatore indossa la mascherina, gli si misura la febbre, si siede al suo posto e da lì non si muove... Il distanziamento è praticabilissimo. Senza contare che gli si può chiedere anche nome, cognome, numero di telefono, eventualmente un’autocertificazione. E invece c’è il limite di 200 posti al chiuso a prescindere dalla capienza della sala. Una beffa, perché significa non coprire nemmeno le spese».
«Abbiamo 50 ragazzi in cassa integrazione»
«Nel nostro piccolo, come Legnanesi, abbiamo 50 persone in cassa integrazione. Ragazzi che sono a casa da mesi e che hanno ricevuto il versamento dell’Inps relativo al mese di maggio soltanto il 2 ottobre. All’inizio il problema era legato essenzialmente alla parte produttiva, a quanti avevano scommesso su questa vita e si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro; ora però il problema sta diventando molto più ampio: è in forse la sopravvivenza di intere compagnie, intere produzioni, interi teatri. Andando avanti di questo passo sarà inevitabile perdere tante maestranze: queste persone per sopravvivere si adatteranno a fare altro, con il risultato che quando riapriremo non avremo più il tecnico delle luci, il fonico...».
«Siamo un'azienda, paghiamo le tasse, però siamo dimenticati»
«Sembrava si stesse aprendo uno spiraglio - dice ancora Barlocco - Nel primo weekend di ottobre siamo tornati in scena al Giuditta Pasta di Saronno e, grazie alle nuove linee guida proposte dalla Regione Lombardia all’inizio dell’estate, che facevano cadere il limite dei 200 posti in sala per la riapertura degli spettacoli al chiuso, abbiamo avuto 320 spettatori a serata, nel pieno rispetto delle norme anti Covid: un pubblico ordinatissimo e felice di tornare a godere degli spettacoli dal vivo. Ovviamente c’era meno gente rispetto al solito, perché le persone dovranno riabituarsi ad andare a teatro: qualcuno lo farà senza problemi, qualcun altro no, e questo è un altro scotto che dovremo pagare. Invece il nuovo Dpcm è tornato al limite dei 200 posti. E siamo al punto di partenza. A volte mi chiedo se dietro alle norme frettolose e ai divieti indifferenziati che non tengono conto delle specificità del settore, della diversa ampiezza degli spazi e delle modalità di fruizione degli spettacoli dal vivo, non ci sia la convinzione che lo spettacolo non è un lavoro... Invece noi siamo un’azienda, il teatro stesso inteso come struttura è un’azienda e come tutte le aziende anche noi paghiamo le tasse. Però siamo dimenticati. Io non vorrei aiuti, vorrei che ci permettessero di lavorare, poi saremmo noi a rimboccarci le maniche».